sabato 29 marzo 2014

Finestre chiuse

Non riesco a staccare gli occhi dagli stivali neri. Sono pesanti, con delle cinghie laterali, i pantaloni con la riga rossa infilati dentro.
Camminano sul pavimento, sui tappeti, sui vetri rotti, come se fosse naturale. Attraversano le stanze, ed è un'altra intrusione, una specie di ulteriore violazione della mia casa, delle mie cose, per quell'aria distaccata con cui il carabiniere apre finestre e porte, senza nessun segno di comprensione, di vicinanza, come un dottore davanti alla malattia.
"Sono entrati dal balcone, salendo per la grondaia, poi sono usciti dalla finestra della camera, ci sono ancora i calcinacci, vede?" E indica dei segni sulla gronda, illuminando il buio con una torcia che si è materializzata all'improvviso nelle sue mani.
Stacco gli occhi dagli stivali e guardo nella notte, non vedo niente, o così mi pare.
I carabinieri sono addestrati a vedere le cose, lo so.

Mi viene in mente quella volta in treno, stavamo andando al mare mia sorella e io con un'amica, almeno credo che fosse quella l'occasione anche se nel ricordo mi sembra di essere da sola. Avevo una valigia e la borsa e il biglietto appena timbrato in mano quando sono entrata nello scompartimento, dove c'erano delle persone, un ragazzo seduto che guardava dal finestrino e un uomo dietro di me a controllare se era rimasto un posto, che non c'era. Sistemo la valigia, mi siedo, frugo nella borsa a cercare il libro da leggere e il ragazzo si alza di scatto correndo fuori nel corridoio, sta via pochi minuti e ritorna porgendomi il biglietto. “Non te ne sei accorta ma ti aveva rubato il biglietto”, mi dice. Io resto basita, ammirata per la velocità e la destrezza di quel ragazzo, che mentre verifico che davvero non avevo più il biglietto mi racconta di aver convinto l'uomo a restituirlo prendendolo per il collo e minacciandolo. “E poi – aggiunge – quando capiscono che sei carabiniere, anche se sei in borghese, si mettono paura”.

Io non ho paura dei carabinieri.
Adesso che è seduto in cucina a trascrivere dati e numeri, a verbalizzarci su un foglio a quadretti, mi sembra che sia anche un bell'uomo, ha mani abbronzate e gambe forti. Gli stivali neri sembrano ancora più grandi.
Quando se ne va, comincio a chiudere gli armadi, prendo da terra la mia biancheria. Hanno frugato nei cassetti, hanno preso in mano le mie cose e le hanno buttate sul letto, sul pavimento. Mi prende un po' di tristezza, ma è una tristezza strana, un misto di paura e irritazione, senso di impotenza e voglia di piangere.
Un po' quello che si prova per un bacio rubato.
Ci devono essere i ladri” ha detto la vicina della casa di fronte a mia sorella, “c'è molta confusione sul letto, non l'ho mai visto così in disordine”. Ah, ecco. Così in disordine non l'ha mai visto. Devo pensare qualcosa anche per le tende, mi sa.

Non riesco a prendere sonno. Le bambine sono spaventate e vogliono dormire nel lettone.
- Magari è stato il vento a rompere il vetro, eh mamma?
- No tesoro, sono stati i ladri.
- Ma come hanno fatto a entrare da un buco così piccolo? 
- Amore, il buco è servito solo per infilare la mano e aprire con la maniglia.
- Ma come hanno fatto a rompere il vetro? 
- Bella domanda, tesoro. Forse con un cacciavite, ma non lo so.
- Ma adesso tornano ancora? No amore, non tornano più.

Chiudo tutte le imposte. Non lo faccio mai, detesto svegliarmi al buio, voglio sapere quando apro gli occhi se è ancora notte o se c'è luce fuori. Non mi piace tornare a casa e vederla chiusa, sbarrata dentro se stessa.

- Ma le finestre devono restare sempre così, mamma? No tesoro, le apriamo.
- Ma quella del poggiolo no, deve restare così, se no entrano qualcuni di nuovo in casa, eh. 
- Va bene amore, quella la lasciamo chiusa.
- Non può essere stato il vento... Chissà perché sono venuti da noi, mamma.
Già, chissà perché. 
- Non preoccuparti per il tuo orologio, sai mamma. Ne compriamo uno più bello.

Resto in bagno per un tempo infinito, a guardarmi allo specchio, a lavarmi le mani. Quando finalmente vado a letto, il Bighi dorme. Mi avvicino, ho bisogno di un contatto. Nel sonno, mi abbraccia.
Penso che devo lavare la mia biancheria, toccata da mani estranee, domani. Dobbiamo fare la denuncia, domani. 
Aprirò le finestre, domani.

venerdì 28 marzo 2014

Apologia dello sciampo

Mi hanno consigliato uno sciampo. Seguo i consigli degli amici, io, così se non funzionano so chi incolpare.
Non ci pensi, però a volte puoi aver bisogno di uno sciampo.
Di una corsa, prima, e poi di uno sciampo.
È utile, lo sciampo, per mandare via i cattivi pensieri, per sciogliere questa parte di me che non mi riconosco, che faccio fatica a comprendere, che non mi piace e non voglio che si incrosti. 
Sto lì, sotto la doccia, a sentire l'acqua scorrere sulla testa, sulle spalle, scendere calda e portarsi via i pensieri, giù fino ai piedi e poi dentro il buco rotondo dello scarico.
Per quello, il bagno non va bene. Lì ci resti immersa, nell'acqua torbida della tua mente, finché non decidi di uscire, e quando lo fai l'acqua, quella vera, quella del bagno, è ormai fredda, il sapone si è addensato sui bordi della vasca e ti resta attaccato addosso. Come fai a togliere i pensieri se non riesci nemmeno a sciacquare via il sapone?
A parte il fatto poi che non ce l'ho, la vasca da bagno.
Quindi, la doccia. Ci vuole la doccia.
L'acqua è sempre calda, sotto la doccia.
Insapono la testa e insisto sulle tempie, sulla nuca, fino a quando la schiuma diventa densa, e poi lascio che l'acqua mi scenda sulla faccia, che riempia la bocca e le orecchie, chiudendomi per un po' in un silenzio ottuso, e portandosi via dagli occhi chiusi anche il mascara, in una scia nera.
E sì, è utile lo sciampo, per levarsi dalla testa i pensieri, e anche i ricordi, quelli belli, bellissimi, che avrei dovuto già da tempo mettere via, in un angolo del cuore, in una piega della mente. Se ne vanno anche loro, insieme alla schiuma, giù per lo scarico, lasciando solo un rumore sordo che resta nelle orecchie lo spazio di un attimo, il tempo necessario al piccolo gorgo di assorbire nel tubo il grumo di tristezza.
Chissà se torneranno.
Comunque, al limite mi farò un altro sciampo.

giovedì 20 marzo 2014

Caffè quaresimale

Interno giorno.
WonderDad seduto a tavola, il piatto con le posate leggermente scostato e la testa affondata in un voluminoso tomo dalla copertina giallina, occhiali da miope tirati sulla fronte.
WonderMum affaccendata con i piatti, collana di perle e twin set celeste.
La Wonder prepara il caffè. Due normali, un decaffeinato.

- Però, è stato veramente grandioso
- Me ne ciàvo de quel che i dise
- Le tazzine sono lì, vicino alla finestra
- sono indifferente ai pettegolezzi
- Davvero non ho mai visto un funerale così, era tutto molto studiato
- El cicava e po' el tirava de chi scàpari che faséa impresiòn
- C'era tanta gente?
- masticava tabacco e poi scatarrava in modo repellente
- La chiesa piena, certo
- Èsa pién de corni come 'na zesta de bogoni
- d'altra parte era molto conosciuto
- Lo zucchero dov'è?
- essere tradito ripetutamente
- C'erano i fiori bianchi
- Questa zuccheriera sembra una vasca da bagno
- Vàrda ch'ite guza la cagneta
- Un sacco di preti, come da Roberto
- attento a non lasciarti imbrogliare
- C'è mica un dolcetto?
- L'è ora de fenirla de far i ovi fora dal zesto
- È quaresima, veramente
- bisogna imporre regole che limitino l'arbitrio
- Mamma, solo per il caffè
- Sì ma gnanca un dessèr? No gh'è mai il dessèr
- Un pezzetto di cioccolata?
- Sì, dai. Fèmo fioretti de altro tipo
- C'è scritto anche sul giornale, ormai i classici fioretti sono superati
- Con tuti i funerài ch'emo ciapà, ghe n'emo fati par un tòco
- Meglio rinunciare un po' alla tv, all'ipad...
- 'Sta ciocolata?
- Eccola qui
- Meglio mangiarla che scade, va'
- Mangia mangia che sei magra
- Come sarìa, la scade?
- Mamma non sono così magra
- Beh insomma, scade a maggio
- Sì va ben ma l'emo comprà la setimana pasà...
- Vuoi lo zucchero? Quanti cucchiaini?

Il caffè dai WonderParents, comprensivo di lettura del Dizionario del dialetto di Sanguinetto del Vaccari e di consigli sulla gestione delle rinunce quaresimali, costituisce un discreto diversivo, la verità.