sabato 31 marzo 2012

Libellule, playboy e gambe lisce

Nonostante l'armadio trabocchi di borse, un paio delle quali comprate al fake market di NanJing lu, di solito non cambio la mia comoda ampia borsa nera, che sta su tutto e dentro ci sta di tutto. Saltuariamente sono costretta a svuotarla, perché chissà come a un certo punto non è in grado di contenere più niente, e mi tocca controllare cosa ostacola l'immissione dei viveri di conforto o del cambio pannolino.
Così stamattina, facendo ordine, sono emersi due biglietti da visita di provenienza sconosciuta (inutile prenderli se poi non ci scrivi a chi appartengono, te lo dimentichi di sicuro anche se pensi il contrario. Il cassetto trabocca di biglietti da visita inutilizzabili. Oddio, magari una volta provo il brivido dell'ignoto e mi caccio in un taxi con uno di quelli, vediamo dove arrivo), scontrini, lettere della scuola, la macchina fotografica, tre pacchetti di fazzoletti nuovi, una bottiglietta di acqua, la tessera della metro, la tessera dell'asilo, due lucidalabbra, una penna, un libro, la piantina di Shanghai, il quadernetto di appunti, dei fazzoletti usati, le chiavi di casa (ecco dov'erano), il cellulare, tre dépliant del Dragonfly.
Adesso mi ricordo, quella volta che siamo andati a mangiare alla Greek Taverna mi son presa dei volantini, così per curiosità. Ficcati in borsa e da quella fagocitati.
Il primo dépliant (Skin Care Expert) mostra in copertina un viso pieno di crema e due mani che lo spennellano. Suppongo siano trattamenti per il viso. Infatti, va' che intelligente che sono, qui propongono dalla pulizia del viso (ci farò un pensierino, me l'ha suggerita anche la Niki) al trattamento al collagene, dall'idratazione profonda all'Oriental pearl, che dura 90 minuti e oltre alla faccia di fanno un trattamento anche alle spalle, alle braccia e alla testa. Esci più rintronata che dopo aver visto una partita di calcio.
Il secondo è il Membership application form, cioè ti suggeriscono di fare una tessera fedeltà che però paghi in anticipo, così sborsi subito 350 euro e poi hai lo sconto del 30 per cento sui massaggi e del 15 su altri servizi.
Vabbè, quali altri servizi, vediamo un po'. Terzo dépliant, Service menu.
Chinese massage, Japanese shiatzu, piedi, mani, testa, tutti massaggi sono, guarda questi che nomi che hanno, Happy Landing, cos'è? Rigenerante for jet lag and travel discomfort, guarda cosa si inventano, questo si chiama Give it to me one more time, 120 minuti dove ti massaggiano dalla testa ai piedi, non lasciano fuori neanche i capelli, Double trouble, sarà un massaggio di coppia, vediamo... Hedonistic pleasure of a relaxing Aroma oil massage delivered simultaneously by the gentles hands of two therapist. Ossignùr. Messa così sembra anche una cosa raffinata.
Vabbè, e poi? Ecco qui. Manicure, pedicure, esfoliante, French Mode Color... cos'altro?
Waxing service. Che sarà mai 'sto uacsin? Vediamo che dice... labbra, sopracciglia, braccia, ascelle, collo, spalle, schiena, petto, addome... non capisco. Gambe, cosce, qui cos'è? Buttocks, son mica le chiappe? Bikini, Brasilian, PlayBoy (female only). PlayBoy? Ho un sospetto. 'Spetta che controllo, va', che son curiosa.  
Wax: cera, ceralacca, cerume, sciolina... cosm. Ceretta.
Ceretta! Questi fanno la ceretta! Non ci posso credere.
E tutto questo tempo che credevo che qui non esistesse? Che mi sono buttata sui sistemi basici di sopravvivenza?
- Bambine, state qui un po' con la Susie. Io vado a fare una cosa e torno.

Sono andata al Dragonfly, qui.
Ah, che bello sentire la cera calda sulle gambe. Perfino lo strappo ha un fondo di piacere, un sentore quasi antico e familiare.
Caro Wilkinson, non è che rinnego l'elogio, i tuoi meriti resteranno nei secoli immutabili. 
Però chi ha inventato la ceretta è un mito. 

venerdì 30 marzo 2012

Pioggia e canzoni

La mia perseveranza nell'utilizzare la bicicletta (con qualsiasi tempo, in qualsiasi condizione) è rimasta pressoché immutata nel corso della mia vita, e non è stata minimamente intaccata dalle previsioni meteo della Cina, che danno pioggia ogni due giorni.
La nostra ayi, forse mossa a compassione dalle condizioni in cui torno a casa nel giorno due, cioè quello della pioggia, mi ha regalato un mantello impermeabile. È grande abbastanza da farci stare sotto uno scooter, è viola, ha delle scritte sulla schiena che non voglio sapere cosa dicono e una parte trasparente sul davanti, così quando accendi il fanale si vede fuori.
Non l'avevo mai utilizzato, finora. Diciamo che lo trovo poco elegante.
Però stamattina veniva un'acqua della madonna, erano già le otto e mezza, andare a piedi alla scuola del Gatto ci vogliono venti minuti, in taxi ci avremmo impiegato venti minuti (lo so, fa strano, ma quando piove impazziscono tutti anche qui), e quando ho visto il pacchettino viola mi sono finalmente decisa a mescolarmi al popolo cinese e ho indossato il mantello plasticoso.
Pedalando, il Gatto Selvaggio seduta dietro imbronciata perché non riusciva a vedere fuori, le gocce di pioggia sulla faccia, non ho potuto fare a meno di cantare. 
Sulle mie mani leggo il cielo come un riflesso arcobaleno sotto la pioggia
Sotto la pioggia batte forte il cuore
Ma la pioggia non ci bagna...
I ricordi ti travolgono quando meno te lo aspetti.  

Era un pomeriggio di piena estate, quel giorno là. Eravamo andate in piscina, e questo significa che dal paesello dove si trascorrevano i tre mesi di vacanza tutti gli anni, dentro una casa a forma di castello, avevamo pedalato per circa tre chilometri, lungo una strada che attraversava vigne e campi di ciliegi.
Il gruppo di quattro amiche, pressoché inseparabili, era formato dalla Wonder, dalla zia Checca, dalla Lidia e da un'altra ragazzina (di cui non ricordo più il nome, per quanto mi sforzi, e nonostante pensassi che non l'avrei mai dimenticato) che erano nostre compagne di giochi per quel periodo estivo.
Dopo un pomeriggio passato in piscina, dove non ho ricordi di essere mai più tornata, giusto quando stavamo per riprendere la strada di casa si è scatenato un temporale.
Era uno di quei temporali che come tutti sanno, soprattutto quelli che abitano in campagna, durano poco. Sarebbe stato ragionevole fermarsi, aspettare che spiovesse, e poi riprendere le nostre bici, ma nessuna di noi ebbe la minima esitazione. 
Ci mettemmo in testa gli asciugamani, e cantammo per tutto il tempo Sotto la pioggia, consapevoli che ci saremmo bagnate fino alle mutande, prevedendo una sfuriata materna ma incuranti delle conseguenze. 
Stanno arrivando da lontano con il futuro nella mano sotto la pioggia...
Il successo di Venditti rimane indelebilmente collegato a quel momento. 
E quel momento è uno dei miei ricordi più belli.
Forse perché quella è stata la prima volta in cui ho sentito davvero un brivido di libertà.

mercoledì 28 marzo 2012

Il catechismo e Pinocchio

- Sai mamma che a Storykeeper mi hanno detto che un giorno Dio ha mandato un uomo
- Ha mandato un uomo?
- Sì, una persona
- Dove l'ha mandata?
- Dagli uomini
- E chi era? ce l'avrà pure un nome questa persona
- Non me lo ricordo
- Era mica Gesù magari?
- No
- No?
- No
- Ah, e allora cosa faceva questa persona?
- God ha mandato un signore che doveva andare in giro dagli uomini buoni che però si comportano male a dirgli che non dovevano più comportarsi male
- Maddai?
- Sì, e poi succede che va nella balena
Questa l'ho già sentita, ma non mi sembra che Dio c'entri molto
Wonder sei proprio 'gnurante. Sta parlando di Giona
Mannaggia, Cosci, quello me l'ero dimenticato. Meglio se sto zitta, va'.
- E poi God lo va a prendere e lui continua a andare in giro
- Va in giro ancora?
- Sì, deve dire agli uomini che sono buoni ma che si comportano male di non farlo più
- E ci riesce?
- Non lo so

Sull'inglese va senz'altro meglio, ma come lezioni di catechismo siamo proprio al beginner 1. Tutte e due, direi.

lunedì 26 marzo 2012

La vita è tutta un film

Fino a pochi giorni fa il nostro compound assomigliava a uno di quei villaggi fantasma che vedi nei film, quelli dove il buono (che sei tu) cammina sulla strada deserta guardandosi intorno, fingendo di non accorgersi che ci sono occhi che lo guardano di nascosto, dove c'è un cane secco che gironzola annusando qualche angolo, ci sono dei cavalli legati ma non si vedono i padroni, c'è una girandola a una finestra mossa dal vento, e dove c'è il saloon, anche quello deserto se si esclude il barista che pulisce il bicchiere e una coppia di cowboy che giocano a carte nella semi-oscurità.
Ecco, quei villaggi lì che vedi nei film poi scopri che sono finti, che lungo la strada deserta e polverosa le finestre, dietro cui ti immagini donne dai lunghi vestiti che sbirciano lo straniero (sempre tu), son fatte di cartone e le case sono solo di scenografia, tenute su da pali di legno.
Che qui qualche volta ti vien voglia di guardare dietro, giusto per controllare che ci sia tutta, la casa.
Fino a pochi giorni fa, sembrava di stare nel mezzo del set de Il buono il brutto il cattivo, che se incontravi qualche passante tutto intabarrato lo squadravi con gli occhi torvi e biascicavi un nihao appena percettibile attraverso la sciarpa, e se anche avessi voluto sorridere non se ne sarebbe accorto nessuno.
Comunque.
Apparentemente (su tali questioni è sempre bene parlare con una certa cautela) la primavera ha fatto il suo ingresso anche nel nostro compound, e infatti da stamattina i giardinieri stanno togliendo le coperture di bambù con cui avevano incartato i palmizi all'inizio dell'inverno, e i vicini di casa iniziano a uscire, per cui adesso non sembra più di abitare in un villaggio fantasma.
Alla mattina, nel piccolo parco di fronte all'ingresso principale, una vecchietta fa tai qi con una lunga spada, un altro sembra morto dato che sta immobile per interminabili minuti con gli occhi chiusi, ma arguisci che non è ancora cadavere per il fatto che sta in piedi da solo, un altro si dà pugni sulle braccia e sul petto per attivare la circolazione, un altro cammina all'indietro perché anche se il bene più segreto sfugge all'uomo che non guarda avanti mai qui se ne fregano del bene segreto e ricercano quello palese, ed è palese che camminare all'indietro sviluppa il cervello e le gambe, e pazienza se così si rischia di pestare delle merde di cane.
I vecchietti qui sono piuttosto arzilli. Diciamo che ci tengono a mantenersi in forma.
Da qui alle figure quasi mitiche che popolano alcune trasmissioni televisive ce ne passa, però. Lì, in tv, vedi ottuagenari che combattono con lunghi bastoni, che insegnano kung fu e somigliano al maestro Oogway, la tartaruga di Kung fu Panda: non gli daresti un cent, a vederli, e poi son capaci di stenderti con la dentiera. Però mica li incontri, quelli, nella vita reale. Sono un po' come i soldati dei film sugli antichi romani, tipo Troy, o 300, quelli che vedi con gli addominali a tartaruga, e lo sai che esistono ma non li hai mica mai visti, dal vivo.
E poi.
Poi capita che sei al parco giochi, in un tiepido pomeriggio di un giorno qualsiasi. Sei lì che controlli che la Gabbianella non faccia bungee jumping giù dallo scivolo, e guardi distrattamente gli esemplari di varia umanità senescente (la nonnina che fa la maglia sotto un albero, il vecchietto che legge il giornale sulla panchina, il nonno con una macchina fotografica da far invidia a Oliviero Toscani) quando all'improvviso attrae inevitabilmente la tua attenzione un bambino di giallo vestito (il giallo evidenziatore è molto usato, ti consente di identificare il cucciolo anche nella nebbia), dell'apparente età di due anni, che si avvicina all'altalena con fiero cipiglio, intenzionato ad assumere il controllo del mezzo, ignaro che il mezzo, occupato da un seienne baldanzoso, gli avrebbe fracassato la fronte andando a impattare giusto nel mezzo dei sopraccigli.
Ed ecco che, raro effetto slow-motion reale, il nonno fotografo, con un urlo che sono quasi certa fosse Banzai, si lancia sull'erede, lo afferra al volo, compie una capriola nell'aria e ricade sull'erba due metri più in là, come su un materassino. Salvo l'erede, salva la macchina fotografica da un milione di dollari, salvo pure l'ottuagenario, che dopo aver scambiato due parole vagamente alterate col seienne baldanzoso ha ripreso a fotografare il giallo nipotino.
Ho idea che la ginnastica per anziani vada un tantino rivalutata.

venerdì 23 marzo 2012

righe e cliché

Al ritorno dal suo ultimo viaggio in Italia il Bighi è arrivato con una valigia in più, perché tutto quello che ha portato non ci stava in una sola.
C'erano due pezzi di formaggio grana, tre di pecorino, due di speck, tre bottiglie di olio e quattro di vino, tre libri, sedici pacchi delle sue amate minestre, regali dei nonni per le bambine, regali di non-compleanno per la Gabbianella, oggettistica varia, e un pacchetto per me.
Era un pacchetto di carta con un fiocco verde, e proveniva evidentemente da una profumeria.
Lì per lì rimasi stupita. Di solito non mi porta regali, e lo tenni per ultimo, per poterlo aprire senza troppe mani intorno.
Ebbene, a parte il fondotinta che uso sempre gentilmente richiesto con apposita email in cui fornivo le coordinate complete (marca modello colore), il pacco conteneva una scatola. Giusto per darvi un'idea, di contorno alla scatola c'erano anche dei campioncini, di quelli che danno in omaggio le profumiere e che sono direttamente proporzionali alla simpatia che le ispiri e soprattutto alla spesa effettuata. E qui c'erano sei profumi, una lozione profumata per il corpo e una crema per le mani.
Nella scatola, su cui campeggiava la scritta Lancôme, ho trovato: una crema idratante, un siero, una crema per il contorno occhi e una antirughe. C'era perfino un foglietto con accluse istruzioni, perché uno mica la conosce la sequenza giusta, cioè se deve mettere prima il siero e poi la crema o viceversa.
E comunque questa meraviglia spalmabile promette miracoli.
Ora, io non sono una di quelle fissate con le rughe, e siccome ho sempre pensato che in fondo le creme sono tutte uguali, di solito compro la nivea al supermercato, sebbene ormai mi avvicini a un'età in cui potrei anche permettermi di rifornirmi in profumeria.
Mi spiego. Ho sempre pensato che la donna che compra le creme antirughe in profumeria corrispondesse a una tipologia piuttosto distinguibile: cinquantenne, ricca, tailleur, collana di perle, brillocchi, pelliccia, palestra. Quella che va alla gastronomia a comprare lo zampone già pronto e i tortelli alla zucca, che a Natale va alle Maldive e fa la settimana bianca a Cortina anche se non sa sciare, e d'estate ha la casa in Sardegna e ci passa tre mesi, ospitando le fidanzate dei suoi figli maschi e coppie di amici senza figli.
Vabbe', ammetto che forse lo stereotipo è un po' limitato. Comunque.
Il fatto è che sto usando questa combinazione di creme e sieri da poco meno di un mese, e lì per lì non mi sembra che la situazione sia migliorata in modo evidente.
Però.
Ieri, mentre in ginocchio sul pavimento cerco di smuovere la zip inceppata
- Mamma, che bella che sei, mi dice il Gatto Selvaggio, la testa inclinata come per guardarmi meglio - non hai neanche le righe.
Il primo pensiero: Allora funziona.
Il secondo pensiero: Aspetta che vediamo se dice qualcosa circa la presenza di quadretti invece delle righe.
No, non lo dice. Intende proprio rughe.
Mannaggia che mi devo ricredere sui miei cliché radicati.

mercoledì 21 marzo 2012

Motilità delle nuvole, ovvero De primavera

La frase più usata online nel 2010, secondo la rivista cinese Southern Metropolis Daily, è stata Shenma dou shi fuyun, che tradotto significa Tutto è nuvola fugace.
Filosoficamente parlando, è un grande insegnamento. Diciamo che consiglia di non godere troppo delle vittorie, e di non abbattersi per le sconfitte, perché tanto dura poco (suggerimento non del tutto nuovo nemmeno nella cultura occidentale, per essere sinceri. Ma detto in cinese è molto cool).
Qui però è usato soprattutto nel secondo caso. Cioè a dire, per consolazione. Se ti capita qualcosa di brutto, tranqui che poi passa, la ruota gira, il cielo è blu dietro le nuvole.

E infatti, prima o poi passa.
L'inverno, dico.
Secondo loro, ciainis pipol, è già passato da mo'. Hanno provato a convincerci con una certa costanza.
Nessuno di noi ci è cascato, ovviamente.
Però sono due mesi che ci dicono che è iniziata la primavera. Cioè esattamente da quando, la notte tra il 22 e il 23 gennaio, hanno festeggiato il capodanno cinese, che qui hanno l'ardire di chiamare chun jié, ovvero festa di primavera.
Piove, nevica quasi, tira un vento che non stanno in piedi neanche i passeri, che pizzica la faccia e ti costringe a vestirti come un palombaro, e loro dicono che è primavera.
Hanno tutti una giacca indossata giusta e una messa al contrario, perché quando tira vento passa anche dalle fessure della zip. Si mettono dei gambali col pelo dentro, perché in motorino rischi di perdere l'uso delle ginocchia. Coprono la testa con berretti e cappucci, la faccia con mascherine e sciarpe, le mani con enormi guanti pelosi, ma dicono che è primavera.
- I semi sotto la terra cominciano a muoversi adesso, mi disse la Rebecca, amica cinese che segue il ciclo della luna e le prescrizioni pazze del medico cinese.
Sarà, ma intanto se ne stanno belli coperti, al caldo, e a nessuno viene in mente di mettere fuori la testa a vedere come si sta.
Oggi è inaspettatamente caldo.
Sarà un caso, ma oggi è iniziata la primavera secondo noi.
(Per amore di verità, bisogna dire che secondo gli astronomi è iniziata ieri. Ieri tirava vento e pioveva, per inciso).
L'erba improvvisamente si è colorata di un verde brillante, le pozzanghere si sono asciugate, la gente passeggia e mangia baozi, le finestre e i terrazzi si riempiono di biancheria stesa, i ragazzi si baciano sul muretto del parco, i vecchietti fanno tai qi e camminano all'indietro, sulla strada son spuntati i venditori di caramelle e palloncini e sono spariti quelli di patate dolci e pannocchie. E soprattutto è ricomparso il carretto delle sedie, quello che era sparito alle prime piogge, quello con così tante sedie che non si sa come facciano a stare su, tutte di bambù, legate una all'altra che poi ti chiedi come fa l'omino se io gli compro quella là sotto.
Adesso è primavera.
Però lo sappiamo, mica possiamo farci grande affidamento.
Shenma dou shi fuyun.
Domani pioverà.

lunedì 19 marzo 2012

Newton, Guccini e intimismo figurativo

Qualcuno dice che l'unico momento in cui la famiglia si riunisce è per mangiare.
Tzè, principianti.
Da circa sei anni, cioè da quando, avendo obbedito al precetto divino che sollecitava ad andare e moltiplicarsi, io e il mio augusto coniuge abbiamo speso alcuni anni ad andare e infine abbiamo proliferato, mi sono rassegnata all'impossibilità di avere (anche rari, anche brevi) momenti di personale intimità.
Non parlo di quando accendo il pc e mi accingo a scrivere, perché quel momento coincide esattamente con il desiderio compulsivo della BB di fare live mathletics (queste gare di matematica che coinvolgono il globo terracqueo) e subito dopo il Gatto vuole giocare a fashion week e vestire cinque pupe di abiti succinti e accessori improbabili, naturalmente sul mio computer.
Non parlo neanche di quando ho l'avventatezza di aprire un libro, le gambe distese, finalmente, perché quello è il momento esatto in cui la Gabbianella vuole condividere con me per l'ennesima volta il princess book, volume di sette chili di peso con le storie di tutte le principesse del mondo Disney che le ho regalato per il suo compleanno (che idea balzana).
Parlo di altri momenti.
Uno pensa, per esempio, che la doccia della domenica, quella che può durare un po' più dei canonici tre minuti e venticinque e che, oltre che a togliere le incrostazioni (come diceva quel mio compagno delle medie dalla brillante intelligenza ma dalle dubbie abitudini di pulizia), potrebbe costituire anche un momento di relax, con la maschera idratante e le creme et cetera, viene regolarmente funestata.
- Mamma, mi disegni un albero di natale?
- Amore, sono sotto la doccia, mi sto facendo lo sciampo, sono materialmente impossibilitata.
- Mamma, posso usare questa matita per fare la sebra?
- Fammi vedere? Da vicino che son cecata. No amore, quella serve per gli occhi, non a fare disegni. E non toccare i miei trucchi, please.
- Mamma, mio ciuciuciu ooe èè nononn ea cacanca ea nononn ea ia oo ee ciuciuciu (mamma, sapresti indicarmi dove ho lasciato il mio ciuccio, non lo trovo più, e ho già chiesto anche alle mie sorelle ma loro non mi danno ascolto)?
- Non saprei, amore, perché non chiedi a papà?
- Mamma, dove la metto tutta questa crema che è uscita dal tubetto?
- Quale tubetto? E vuoi dirmi che è uscita da sola dal tubetto?
- Mamma guarda come salto bene dal davanzale al tuo letto! Gatto, ci teniamo per mano e ci tuffiamo?
E non posso, come qualcuno potrebbe ingenuamente pensare, chiudere a chiave la porta, perché questa verrebbe abbattuta a spallate.
Anche altre funzioni corporali diventano un pretesto per un momento conviviale. A turno, a chi tocca, uno seduto sul gabinetto e gli altri intorno, perché se è vero che alcuni fanno solitarie interminabili sedute e riescono a leggere per intero anche il Devoto-Oli, è vero anche che il momento giusto per le confessioni segrete è questo e il bagno rimane comunque il luogo più adatto per il brainstorming, e vi si fanno le pensate migliori.  
Si pianificano le attività pomeridiane (che tendenzialmente vorrebbero escludere i cartoni dalla doinglist), si vagliano proposte e si fanno progetti a medio-lungo termine, che iniziano con Vedremo, Se fate le brave, Se non litigate e altre locuzioni analoghe. Si inganna l'attesa nominando il maggior numero di animali a due, a quattro e a otto zampe o in alternativa i parenti di cui ancora si ricorda il nome e la data di nascita, si trovano le risposte a domande di filosofia esistenziale (del tipo Perché sempre io?) e soluzione ai problemi di natura concreta.
(Sono sicura che anche Newton fosse lì quando è stato folgorato dalla sua famosa intuizione. Altro che sotto un albero, con la mela in testa. Era lì, concentrato, poi ha sentito ploc, e ha tratto alcune celebri conclusioni).

Nemmeno dentro al cesso possiedo un mio momento, cantava quel famoso cantautore là. A France', se non ce l'hai tu, il momento, figurati io.

giovedì 15 marzo 2012

Stremante trattativa

- Allora sei proprio sicura?
- Sì, son proprio sicura.
- Sicura sicura?
- Uff...
- Non so se ce la faccio
- Figurati. E poi c'è la Susie, fa tutto lei
- Ma deve arrivare alle sette!
- Certo, e finisce alle sette, o quando vuoi tu. Gliel'ho già chiesto, può farlo. Può venire anche sabato.
- Ma io dovrò prendermi dei permessi per andare a prendere le bambine...
- A parte che potresti anche prenderti dei permessi, ma comunque la BB arriva col BusEnorme...
- E al venerdì?
- Al venerdì in aprile il corso di ballet è finito, sicché non c'è problema. Poi ho già chiesto all'amica Doris e alla Stefania e alla Giovanna se in caso di necessità possono prendere il Gatto Selvaggio.
- E la cena? Io torno tardi...
- Ma se dovrai lavorare due giorni su sette! Guarda, da sabato a martedì stai a casa, un bel uichend lungo con il ponte del primo maggio. E poi ti dico che c'è la Susie, si ferma finché non torni quando lavori, se fai tardi preparerà due noodles o un po' di riso. Poi senti, ti lascio il frigo pieno che non devi neanche fare la spesa, ti metto in freezer un po' di porzioni di lasagne e dei sughi pronti, ci sono pure le buste di zuppe che ti sei portato dall'Italia l'ultima volta sicché stai in un botte di ferro.
- Ma alla mattina, come faccio che non so dove sono i vestiti?
- Mi sembra che ti stia arrampicando sugli specchi. Sento uno stridio fastidiosissimo.
- …
- Facciamo così, ti preparo pure dei mucchietti di vestiti, uno per ogni giorno, per ciascuna bambina... così fanno... vediamo... una ventina di mucchietti. Ci scrivo sopra il nome, anche. Dove vuoi che te li metta?
- Dai, guarda che son serio. Come faccio da solo una settimana con tre bambine?
- Ma non eri tu quello che voleva fare cambio con me, mandarmi a lavorare e stare tu con le tue figlie? Non sentivi l'impellente necessità di passare tutti i tuoi minuti di tutta la tua giornata con i frutti del nostro ammore? T'el chi. Potrai anche guardare tutti i film di fantascienza che vuoi.
- Ma almeno mi porti due bottiglie di vino?
- mmmmh... ok.

Sei mesi di stage al fake market sono serviti a qualcosa.  
La trattativa è stata dura, ma ce l'ho fatta. 
Al matrimonio del fratello preferito nonché unico la Wonder sarà presente anima e soprattutto corpo. È la prima volta in tredici anni che si prende una settimana per sé, la prima volta che abbandona la famiglia per più di quattro ore, la prima volta che fa un viaggio transoceanico da sola.
Credo che l'esperienza la spaventi un po'.

martedì 13 marzo 2012

Non è colpa della musica

Ok, è colpa mia. Avrei dovuto pensarci che dovevo prenotare in anticipo. Con molto anticipo.
Però dovevo organizzare il pomeriggio, chiedere alla Doris o alla Stefania se mi prendevano Gatto a scuola e alla Olandese Volante di cui non so neanche il nome se poteva portare a casa la BB, che quel giorno ha lezione di ballet e non prende il BusEnorme, e alla ayi di fermarsi un po' di più perché per tornare dal Bund ci vuole tempo, e il workshop di Xu Xi era alle tre, che orario infame, eppure è sold out, esaurito, nemmeno un posticino c'è, neanche in piedi, in un angolo, e il tempo passa che non te ne accorgi, e dici Quand'è quella cosa che mi interessa? Assì, venerdì, la settimana prossima, c'è tempo, e vieni travolto dal niente, dai compiti, dalla cena, dalle lezioni di cinese, dai compagni di scuola che invadono il pomeriggio, la merenda, e non ci pensi che è tardi e ormai non ci puoi fare niente.
Bum. Tutte e tre le settimane dell'International Literary Festival andate.
Respiro. Inspiro ed espiro.
Che incazzatura.
Le mani fremono, e quando lo Zio Bobo, il Ratto di Calcutta, il fratello preferito nonché unico mi manda un messaggio rispondo come mi viene, arrabbiata.
- Ti mando una cosa che ti tira su, mi dice.
 Meglio, va', che qui i diavoli stanno in mucchio su ogni capello, e si vede.

E allora mi manda un filmato, un filmato fatto di musica e di tante foto, e nelle foto si vede una busta, e i nomi che si scrivono da soli, e un timbro sulla ceralacca, e poi Verona, e un aereoplanino di carta che vola fino in Cina, e poi Shanghai, e il postino cinese che pedala e la busta sulla tovaglietta blu cina, e poi si apre e dentro c'è l'annuncio del matrimonio del secolo, del Ratto di Calcutta, del fratello preferito nonché unico, e io mi metto a piangere già quando vedo Verona, e piango con i singhiozzi, e allora arriva la Gabbianella che mi guarda e mi dice
- Mamma, ciuciucio, oi ciuciucio?
ma io continuo a piangere, con i singhiozzi, e consumo tutti i fazzoletti.
La musica era questa. Ma forse non è colpa della musica.

domenica 11 marzo 2012

Incubi notturni e ansie diurne

Magari la cena mi è rimasta un po' pesante.
Però era buona. Forse è stato quel pezzetto di moussaka che ho preso alla fine. O i calamari fritti? Forse le polpette di pomodoro. L'insalata greca non penso. Per quanto, adesso che ci penso, mi sono lasciata tentare dalle rondelle di peperone. Ecco, son state quelle di sicuro. Benché anche la crema di melanzane sul pane morbido fosse talmente deliziosa che credo di aver un po' esagerato. Comunque. Giusto per completezza d'informazione, la Greek Taverna si trova al 3911 di HongMei lu, nella villa 1, all'interno di un cortile dove sono radunati alcuni ristoranti e, proprio nel mezzo, un centro Dragonfly dove fanno massaggi rilassanti, energizzanti e dimagranti, oltre ad altre terapie di bellezza estremamente costose. Così se uno esagera un po' con i dessert ha già idea di come rimediare.
E allora sarà stata quella rondella di peperone o chissà che altro, assaggiato nell'atmosfera rilassata di azzurro e di bianco, con le candele accese e il divano lungo e i cuscini, ma stanotte ho fatto dei sogni terribili.
Nel primo mi trovavo improvvisamente su una barca in mezzo a un porto, inseguita da una nave spinta da un enorme camion (mica hanno senso, i sogni) che andava a schiantarsi su una banchina, la gente correva e io mi ritrovavo in acqua ma dovevo nascondermi perché gli inseguitori sparavano, trovavo un salvagente e allora restavo con la testa in mezzo alla ciambella a respirare e a piangere perché non trovavo più le mie bambine. Mi son svegliata un po' sudata.
Nel secondo stavo in un mio ipotetico letto a dormire, e com'è come non è, mi trovavo uno sconosciuto di fianco, ma siccome era un ospite non potevo mandarlo via, l'avevamo invitato noi, ma in quel noi il Bighi era sparito, scomparso dal sogno e anche dal letto, e io ero rimasta con il tipo tra le lenzuola che allungava pure le mani. Sinceramente non so se fosse bello. Ne dubito. Immagino che se avesse avuto gli addominali a tartaruga me lo sarei ricordata, e il sogno non sarebbe stato poi tanto brutto. Mi son svegliata con la gola secca, ho visto il profilo del coniuge completo di orecchio placidamente ronfante sul cuscino di fianco al mio e mi sono un po' rilassata.
Nel terzo mi trovavo a casa mia in Italia, vestita con il mio bel vestito per l'evento del secolo, il matrimonio del Ratto di Calcutta, le nozze dell'erede maschio, l'argomento di conversazione dei prossimi due mesi e dei successivi dieci, l'avvenimento che resterà a memoria d'uomo nelle cronache familiari. Ero già pronta, con trucco e parrucco e un bel vestito che adesso che ci penso era così bello che quasi quasi me lo faccio fare, ed ero vagamente in ritardo, ma solo un po', una cosa che si poteva rimediare, quando succede l'irreparabile.
Le scarpe, prese apposta per quel vestito, le più belle scarpe che potessi desiderare, non mi vanno più bene. Son troppo strette. 
Son cose che capitano, negli incubi. Non so cosa successe dopo, la mia memoria post-onirica si rifiuta di collaborare. Ma le scarpe troppo piccole, quelle sono a stampa indelebile.
Sono quasi sicura che c'entri la nemesi, e quella faccenda là che gli dei puniscono la superbia, l'orgoglio e la vanagloria, oltre ad altri trascurabili vizi, perché dopo quel giorno in cui il famoso scultore ha preso lo stampo del mio piede, proprio il mio, non quello della Zia Checca da Cenerentola, il mio, non quello della zia Sandra normale, il mio, troppo lungo da sorellastra ma che in quella statua ci stava giusto, da quel giorno che il mio piede di bronzo attaccato alla gamba di bronzo della Giuly è andato oltreoceano e la copia di gesso è finita sulla mia libreria, ecco, io del mio piede ci vado abbastanza fiera, e le scarpe col tacco dodici gli stanno benissimo, e quella cosa cosa che all'improvviso diventano strette è proprio un incubo, anche da sveglia.

mercoledì 7 marzo 2012

Dilemmi amletici e soluzioni pratiche

Ci sono giorni in cui il tuo status di casalinga, non definitivamente voluto ma tutto sommato non così odioso come pensavi quando eri una donna cosiddetta in carriera (ma non esattamente del tipo che si perde la recita di fine anno, per dire), ti pone di fronte a delle scelte amletiche. Infatti, non potendo sottrarti a certi doveri cui ti obbliga questa tua nuova posizione sociale (per quanto la definizione di nuovo sia più psicologica che reale, visto che sette mesi sono un po' più che un periodo di prova), nel caso di specie preparare la cena, ti domandi con il mestolo in una mano e la presina nell'altra Pasta o minestra? That is the question, e allora cerchi degli spunti qua e là, tra i blog di cucina creativa, il sito del cucchiaio d'argento e i pochi libri di ricette che ti sei portata dall'Italia, e resti affascinata da alcune foto dove c'è un pollo che ha perso le sembianze del pennuto per trasformarsi in un fantastico spezzatino dorato, un flan di zucchine su salsa di parmigiano, dei tortini di patate e gamberi alle cinque spezie, il carré di vitello all'arancia e Grand Marnier, gli spiedini di coda di rospo alle pere e aneto, una mousse di cachi con gelato alla vaniglia, una crema di zabaglione servita in uova di cioccolato con foglie di menta e lamponi, e son così belle, quelle foto, da farti dimenticare che ci sono dei fotografi apposta per quelle pietanze e che il più delle volte sono anche finte, e da indurti a credere addirittura che un giorno potresti anche farle, quelle ricette lì, che hanno due cappelli e due orologi, ma quando hai voglia ti manca proprio quell'ingrediente fondamentale che non puoi proprio sostituire, tipo l'aneto, per dire, o il pollo.
E magari in certi casi hai anche ragione, ché qui il prezzemolo non sa mica di prezzemolo e il gelato non sa di gelato, sicché la ricetta non viene tanto bene. La scusa è plausibile. Comunque.

E allora ci sono dei giorni in cui l'amletico dilemma ti costringe a cimentarti con verdure semisconosciute, spezie dall'aspetto inquietante e cibi dai nomi improbabili, riuscendo in qualche caso a produrre delle pietanze edibili, il che è già un bel traguardo, se ci pensate.
E comunque le tue scarse nozioni, cui hai lodevolmente cercato di porre rimedio seguendo un corso di cucina cinese (che però essendo tenuto in francese non ha probabilmente sortito effetto alcuno), nonché la tua rinomata imperizia con le pentole (checché ne dica l'amica Doris) non ti esime dall'avere a cena tutto il vicinato (e se ti trovi in una megalopoli vicinato assume anche significati pericolosi).

E poi ci sono giorni in cui le circostanze esterne, ovvero interne, bloccano qualsiasi velleità culinaria, e l'ancipite vessata quaestio trova la sua naturale soluzione.

- Mamma? Mammmaaaa! Vieni...
- Dove sei?
- Sono su, nel bagno del papà
(questa casa ha il vantaggio non trascurabile di possedere ben tre bagni, che sono stati così distribuiti: quello nella master room, vale a dire con accesso diretto dalla camera matrimoniale, è della Wonder, quello sullo stesso piano, dotato di vasca idromassaggio, è del Bighi, quello al piano di sotto, cioè il più velocemente raggiungibile, delle bambine. Distribuzione equa e sostenibile)
- Eccomi, Gatto, dimmi
- Mamma... io non capisco... perché... quando faccio la cacca... mi vengono le lacrime...

Stasera minestrina.

lunedì 5 marzo 2012

C'è sempre un perché

Una città di venti milioni di abitanti è grande per forza, però dalla cartina non sembra.
Arrivata da poco, una ragazza appena conosciuta mi dava indicazioni su un negozio o ristorante o non ricordo cosa, e disse È proprio vicino a casa tua, saranno venti minuti di taxi.
Ora, non dico che venti minuti di taxi siano tantissimi, anche considerate le condizioni del traffico, però in circostanze normali, cioè a dire quando sono nel natìo borgo selvaggio, venti minuti di macchina ti consentono di arrivare piuttosto lontano, diciamo venti chilometri. Dimezziamo pure, in caso di traffico. Un negozio a venti chilometri (a dieci) non è esattamente vicino.
Comunque.
Siccome a Shanghai oltre alle enormi distanze ci sono anche altre cose enormi, tipo strade a 8 corsie per senso di marcia, grattacieli di 93 piani, cumuli di spazzatura alti 3 metri e mall di 10 piani, ho voluto sperimentare uno di questi. Le strade a 8 corsie non hanno molte attrattive, e il panorama dal 93esimo piano in un giorno di nebbia non è granché, la monnezza non è nemmeno differenziata sicché ho optato per il mall di dieci piani.
Super Brand Mall, si chiama. Il più grande di Shanghai. È lungo come via Mazzini, per dare un'idea.
Si trova a Pudong, cioè dall'altra parte del fiume, nella zona finanziaria, a ridosso della perla d'oriente e del cavatappi (ossia la torre della televisione e la Financial tower). Cioè a dire che per arrivarci ci ho impiegato un'ora e dieci di metropolitana.
E mentre ero lì in mezzo al marmo e alle luci che camminavo e guardavo le centinaia di negozi, ristoranti, caffè, gioiellerie, mentre il mio cervello elaborava la presenza di un megacinema, sale giochi, sale trucco per bambini, pure una pista di pattinaggio, la più grande della città, ovviamente, mentre occhieggiavo i prodotti monoporzione del supermercato-boutique deserto dove vendono a prezzi stellari le palle del toro e il carpaccio di orecchie di maiale, spiedini di carne ignota infilzata in stuzzicadenti del Sichuan settentrinale, torte che sembrano finte nonché un Dogajolo Carpineto del 2010 alla modica cifra di 67 euro e 25 centesimi, yuan più yuan meno (e poi ci si chiede perché il vino in Cina non ha mercato), mentre perlustravo gli scaffali del Watsons in cerca di un deodorante, mi chiedevo Cui prodest?, e mi veniva in mente Gene Gnocchi, ma poi davvero a cosa serve tutto questo marmo, tutto questo sbarluccicare di luci e lustrini, tutta questa enormità di spazio pieno di negozi e vuoto di persone, questi ristoranti bui, queste terrazze da cui non si vede niente, solo palazzi e cemento e strade e macchine?
Ma c'è sempre un perché. Tutto quel che accade ha un senso.
E infatti è allora che vedo, illuminata di luce propria, dal mio golfo mistico dietro lo scaffale dello scrub all'aloe, nel breve spazio tra il deodorante e le ciglia finte, una confezione di minisnack Vicenzi alla crema di nocciole.
Son cose che riempiono il cuore.

giovedì 1 marzo 2012

Santa Pazienza

Max è un compagno di classe della BB.
Abita nel nostro compound, poche case più in là, caratteristica che, senza alcun riguardo per la simpatia o l'appartenenza al genere maschile, lo inserisce ipso facto nella categoria dei compagni di scuola frequentabili.
Il papà di Max, altrimenti detto MaxDad, è un raro esemplare della ancor più rara specie di Homo Casalingus Lavativus.
Dotato di ayi per le faccende domestiche, di cuoca per i pasti e di Driver angloparlante, benefit della moglie cinese manager superbusy e concesso al MaxDad in uso pressoché quotidiano, il ragazzo, che con il linguaggio politicamente corretto sarebbe definito inoccupato, manifesta i classici sintomi della crisi di solitudine.
Alle sette e ventisei, appena il BusEnorme parte strombazzando, mentre ho ancora la mano per aria a salutare la BB, mi inonda di informazioni sui programmi tv, i negozi di arredamento o le strutture ospedaliere del circondario.
Non ho idea di come impieghi il suo tempo, dato che è munito di adeguata servitù, ma avendo avuto l'avventatezza di lasciargli il mio indirizzo email, sperimento giornalmente le sue email con link al sito di vini francesi con comodo home delivery, di turismo faidate, di centri massaggi terapici antiraffreddore o di negozi di strumenti musicali dai prezzi stracciati (in effetti, un violino per sessanta kuai me lo comprerei giusto per averlo sulla sedia, che fa figo).
Ogni giorno, tornati da scuola, la BB e Max, che non si parlano causa ancora solide barriere linguistiche ma probabilmente si capiscono come solo i bambini sanno fare, sembra si accordino per scassare i cabasisi con questa storia della merenda a casa nostra.

Ora, l'unica volta che siamo andate noi da loro ho accidentalmente assistito alla merenda davanti alla TV con patatine fritte, noodles fritti, biscotti taiwanesi al caffè, agglomerati di cereali aroma arancia made in China e cioccolatini americani al burro di noccioline, e sinceramente lo spettacolo non aveva suscitato in me quel sentimento di spontanea ammirazione che forse si sarebbero aspettati, per quanto, a onor del vero, il MaxDad avesse fatto spazio a una tazza di acqua calda con dentro una busta di tè Lipton al limone sgombrando sollecitamente un angolo del tavolo da incarti vuoti e briciole di biscotto.
Sarà per questo, o forse sarà perché sono un animo nobile, ma ogni tanto mi arrischio ad invitare Padre e Figlio da noi, certa che non ci sarà nessun gran rifiuto e che non potrò invocare lo Spirito Santo per farli sloggiare quand'è ora di cena.
La quale ora di cena, dopo aver mangiato la mia torta di mele e uvetta, aver bevuto la tisana del negozio di tè di TaiKang Lu in tazze di porcellana su tovagliette di cotone ritorto made in Costa Rica, aver parlato di come è possibile, anzi auspicabile, visitare Shanghai senza il Driver, mentre i bambini saltano sul divano della sala e sul divanoletto della camera degli ospiti e guardano un cartone (operazioni attuate per altro in contemporanea), l'ora di cena dunque si avvicina a velocità sconcertante, e mi costringe (maledetta la mia ospitalità italiana) alla domanda di rito:
- Volete fermarvi a cena?
La mia fresca ingenuità mi fa credere, ogni volta, che chi viene invitato a cena all'ora di cena, con frasi del tipo Non ho niente nel frigo ma qualcosa possiamo imbastire, oppure Potrei fare una pasta veloce, perché è un po' tardi si renda conto dell'inopportunità di accettare l'invito, e risponda con un Magari la prossima volta, grazie, adesso dobbiamo proprio andare.
- Chiedo a Max, mi dice invece il MaxDad.
Santa Pazienza.
Allora ieri, che proprio non avevo nessuna voglia, che a me cucinare mi mette una stanchezza, e la domanda l'avevo fatta così, per essere gentile, ho fatto la cafona.
Ho detto Ma tua moglie? Magari vi aspetta, no? Meglio che facciamo un'altra volta, così conosco anche lei, e tu conosci mio marito, cucino qualcosa di italiano, ok?
E li ho cacciati fuori, sotto la pioggia, senza ombrelli e senza rimorsi.
Che tanto la cuoca, a loro, la cena glie l'aveva già preparata, sicuro.