Quindici
mesi.
È un periodo lungo, quindici mesi. Ci puoi far nascere un
bambino, e anche farlo crescere un po', per dire. Oppure imparare a
ballare il tango, ecco.
Che
poi invece il tempo passa così in fretta che quasi non te ne
accorgi. E anche quando cambi continente, e ti ritrovi a vivere, che
so, in Cina, e prima di partire hai un po' paura ma sei
anche eccitata e curiosa; quando riempi scatoloni di libri, vestiti,
lenzuola e scarpe, e fai spazio anche alle biciclette, ma non pensi
di portare via le foto anche se poi capirai che ne avevi bisogno, di
quei ricordi; quando lasci il lavoro che ti piace perché ti aspetta
una vita diversa, e quel lavoro non ti può aspettare; quando ti
prepari a cambiare vita, insomma, anche solo per tre anni, e ti trascini dietro i brandelli
della vita di prima, a farti un po' di compagnia, non ti rendi mica
conto che il tempo passa in fretta.
E invece sono già passati quindici mesi.
E
in quindici mesi scopri che la Cina è un paese immenso, e che ancora
non sei capace di trasformare una carta geografica in terra vera.
Scopri che i cinesi sono curiosi, come i bambini, e che se uno
sconosciuto guarda nel tuo carrello quando fai la spesa, o ti chiede
quanto hai pagato la tua borsa nuova, o vuole sapere quanto pesi e
cosa mangi e dove stai andando è perché qui la privacy non esiste,
neanche quando fai la pipì.
Capisci
che per loro non ci sono filtri, e gli occhi, quegli occhi che ti
fissano fino a crearti imbarazzo, che ti scrutano con l'interesse
morboso dei bambini, gli occhi sono così sottili perché vogliono
vedere lontano senza farsi guardare dentro.
Perché
i cinesi sono bambini. Vogliono macchine costose e potenti, e ci
mettono il poggiatesta di peluches. Indossano le scarpe coi tacchi a
spillo, la minigonna di finta pelle e in testa un cerchietto con un fiocco rosa. Sono
cocciuti ed egoisti, maleducati, prepotenti e furbi proprio come
certi bambini. Fanno promesse che infrangono con sconcertante
facilità, nascondono i cocci e fanno finta di niente, coprono
l'immondizia con un muro di fiori, perché ciò che vedi è più
importante di ciò che sei.
Però
impari anche, in quindici mesi, che si può trasportare una vita
intera su un carretto, per le strade della città; che si può
passare la giornata in un negozio di due metri per tre, e dormirci, e
mangiarci, e viverci, e continuare a sorridere. Scopri che i cinesi
sono coraggiosi, e possono lasciare un lavoro e uno stipendio sicuro
per inseguire il sogno di girare in bicicletta e fare fotografie. Che
si buttano nelle imprese più strane senza paura, perché hanno poco
da perdere, e ricominciano ogni volta che quel poco lo hanno perso
con la stessa facilità con cui un bambino si rialza dopo una caduta.
Che non c'è un'età per cambiare le cose, e la vecchiaia è uno
stato mentale. Perché il cambiamento non li spaventa, e sono
preparati al sole e alla pioggia, al freddo improvviso e alla
solitudine, e le sventure non li scalfiscono più.
E
sono tanti, quindici mesi. Perché a volte basta un'ora, per
innamorarsi (specie in primavera), ma a volte ci vuole un po' di più.
Di
Shanghai non ti innamori.
È
una città immensa, contraddittoria. Ha lo skyline più bello del
mondo, ai cui piedi si srotola un tappeto di povertà e miseria. Le
vetrine luccicano di perle e oro e borse e vestiti, i grattacieli
risplendono di luci multicolori nel buio del tardo pomeriggio come un
perenne, gigantesco, affascinante albero di natale, e quando si
spengono, alle dieci di sera, ti stupisci di quanto possano essere
tristi e grigi. Lungo i marciapiedi, sulle case, sotto le tettoie,
nelle verande, su lunghi bastoni fuori dalle finestre sono appesi i
panni ad asciugare. Lenzuola, mutande, pantaloni e reggiseni
dondolano sullo sfondo dei grattacieli, sulle cui vetrate si
riflettono le pubblicità di profumi e le insegne dei fast food. Su
quei marciapiedi, proprio sotto la biancheria, la gente siede su
minuscole seggiole e mangia da ciotole improvvisate sputando semi e
avanzi, vende patate distese su cartoni per terra, cavoli verdi
incastrati tra le grate della finestra e banane ammucchiate su una
sedia di legno, e lascia che le galline becchettino intorno foglie
d'insalata e chicchi di mais. Nei vicoli stretti la gente vive fuori
casa, dorme sulla motocicletta, si lava nelle bacinelle con l'acqua
del canale, cucina spadellando verdure nel wok, appende anatre e
pesci a seccare al sole e lascia che i cani ne annusino l'odore.
Di
Shanghai non ti innamori, no.
È
lei che ti conquista, un po' alla volta, con la sua vitalità, la sua
cultura, la sua aria internazionale, i suoi parchi pieni di coppie
che danzano, i viali con le statue di bronzo, i quartieri pieni di
locali, di motorini elettrici, risciò e biciclette a scatto fisso. Con le sue
strade sopraelevate, il caldo torrido di certi pomeriggi d'estate e
il frinire assordante delle cicale, l'inaspettato blu del cielo e il
vento forte che scompiglia capelli e pensieri. Con il suo miscuglio
di razze e culture che si incontrano per caso e fanno un pezzo di
strada insieme. Respiri diversità, qui, oltre che una gran quantità
di smog. Sperimenti le altezze vertiginose dei grattacieli e
percepisci nei palazzi il lusso vero, la ricchezza senza pudore. Ti
aggiri tra negozi vuoti di clienti ma pieni di commessi, dentro
alberghi dai soffitti così alti che fai fatica a guardare in su.
E
in quindici mesi impari a sentirla, questa città, che ti corteggia
come un amante finché non fa breccia nel tuo cuore. E così impari a
mangiare con le bacchette, a cucinare con tre tipi di salsa di soia e
a cuocere anche l'insalata, e compri dolci ripieni di fagioli rossi e
di alghe. Impari a parlare una lingua difficile e magari anche a
capirla un po', a sorridere a chi ti guarda e a diffidare di chi
vuole offrirti una tazza di tè, specie se è vestito bene.
Impari
a scansarti se passa un motorino sul marciapiede, e a farti strada
scampanellando in bicicletta, un po' come il venditore di castagne
col suo carretto. Impari che a sederti sui talloni a ben vedere si
sta anche comodi. Mangi bàozì mentre cammini, compri dai venditori
ambulanti pannocchie arrostite e spiedini di frutta e palloncini
colorati, hai sempre un libro in borsa perché le distanze sono
lunghe e i fazzoletti in tasca perché i tassisti guidano da cani.
Impari
che si può stare su una panchina a leggere un libro dalle pagine
bianche, perché le parole immaginate sono sempre più belle di
quelle scritte. Impari che a scriverle con l'acqua, quelle parole,
avranno la forza del vento e il calore del sole che le asciuga.
Impari
che sei tu lo straniero, l'esotico, in un mondo dove per te tutto è
strano e bislacco, immobile da millenni come un tronco di gimkobiloba
eppure mutevole come una nuvola bianca.
Impari
che è facile, incredibilmente facile, conoscere persone nuove che
come te hanno lasciato la loro casa e la loro vita di prima, e sono
tutte persone in gamba, e il confronto ti fa bene. E scopri che
l'amicizia a volte è inaspettata e bella come una scatola di
cioccolatini. Perché l'hai sempre sentita a pelle, l'affinità, ma
non ti aspetti di trovarla dall'altra parte del mondo, con gli occhi a mandorla o l'inglese di Boston, con l'inflessione francese o l'accento milanese, per dire.
E
capisci che ci hai messo troppo tempo, ad abituarti alla tua nuova
vita, col pensiero che il tempo sarebbe stato abbastanza, perché ce
ne mette, a passare, il tempo. E ci sono delle cose che hai fatto,
che hai visto, che hai imparato, ma troppe ancora che vorresti fare,
e vedere, e imparare, e le hai sempre rimandate, perché ce n'è di tempo, almeno altri quindici, venti mesi, pensavi, anche di più.
E
invece.