venerdì 30 dicembre 2011

Tre notti due giorni

Santa Sofia ci lascia senza fiato.
Non da fuori, dove i minareti la rendono troppo uguale a una moschea qualunque e i rifacimenti nascondono le forme originali della basilica.
Dentro.
Dentro è immensa, con cupole altissime dorate, enormi colonne, vetrate colorate. Però è un museo, e nonostante i mosaici, nonostante i capitelli di pietra scolpiti, nonostante la storia di intreccio tra cristianità e islamismo che racconta la strana miscela di iscrizioni latine e arabe, non c'è sacralità. La gente cammina, parla, ride, si siede, le guide accompagnano frotte di turisti che scattano foto. Un gatto si scalda alla luce della lampada che illumina il minbar. Colossali medaglioni campeggiano sulle colonne, ci sono incisi i nomi di Maometto e dei suoi successori, e nonostante vengano ritenuti una grandiosa opera calligrafica mi danno un'impressione di estraneità.
All'uscita, gli ambulanti vendono castagne e pannocchie e uomini con in mano dépliant vetusti elogiano strabilianti gite in barca sul Bosforo.
Il Gran Bazaar è un labirinto coloratissimo di piastrelle e di mercanti furbi, dove si trova tutto. Vuoi provare a dire una cosa? C'è. Gioielli? Ci sono. Tappeti, ceramiche, stoffe, lampade, dolci. Tabacchi? Ci sono. Spezie, cestini, pentole, frutta secca, frutta fresca, giacche di pelle, cappelli, tè, caffè. Scarpe, borse, profumi. Trottole, palle decorative, amache, calamite. Bar? A mucchi. Servono il tè in bicchieri trasparenti, un tè dal gusto denso, che scalda.
Due ragazze siedono nella saletta al primo piano, una porta il velo nero dalla testa ai piedi, ci dà le spalle mentre mangia un panino. Quando ce ne andiamo si rimette a posto il velo. Sto giusto pensando a cosa può spingere una ragazza giovane come lei a coprirsi in quel modo, che lei mi guarda con gli occhi neri che ridono e mi saluta con la mano. D'un tratto mi sento come se fossimo grandi amiche.

Scendiamo verso il porto, dove ci fermiamo a mangiare una zuppa calda e un kebab. La gente s'è messa in fila, una fila lunghissima, transennata, che fa il giro della piazza, per comprare i biglietti della lotteria. Quarantamila lire turche. Tralascio le considerazioni sull'entità della somma, ma non ho mai visto una tale paziente fiducia nella buona sorte.
Lungo il muro della Moschea Nuova ci facciamo pulire le scarpe da un ambulante, e con i piedi scintillanti attraversiamo il ponte di Galata, incredibilmente affollato di pescatori.
Il tragitto nel Tunel è brevissimo, in meno di due minuti arriviamo sulla sommità della collina. I ragazzini corrono dietro al tram e si aggrappano al predellino facendo la gara a chi resiste più a lungo.
C'è una strada piena di negozi di strumenti musicali, eccezionalmente specializzati: uno solo di chitarre, uno di piatti, uno di percussioni, uno di archi. Immagino d'estate un frastuono di musiche, ma oggi non si sente niente, son tutti rinchiusi nelle vetrine insonorizzate.
Dalla torre Galata vediamo la città, il ponte sul Bosforo, le moschee, il tramonto, rosso e giallo, e il vento è così gelido che non sento più le mani, ma restiamo lì, incastrati sulla cima, a goderci gli ultimi scampoli di vacanza.
È che di solito le agenzie propongono improbabili soggiorni che durano tre notti/cinque giorni, sei notti/nove giorni, che non sai dove vanno a finire quelle notti lì. Noi siamo gli unici a fare tre notti due giorni.

giovedì 29 dicembre 2011

Naila delle saponette

All'ingresso del Cagaloglu Hamami ci sono due vasche piene di saponette dal profumo intenso. Attraverso un corridoio deserto, entro nella hall, che scopro chiamarsi camekan, dove si può prendere il tè e fare due chiacchiere con le amiche, e vengo delicatamente sospinta verso lo spogliatoio dove lascio la borsa e i vestiti. Esco avvolta in un telo rosso e con ai piedi delle enormi ciabatte di legno con cui non riesco a camminare, e probabilmente è cosa comune perché una ragazza si avvicina e con fare materno mi prende la mano sottobraccio e mi accompagna verso l'interno.
L'hararet, la stanza principale del bagno turco, è una sala di marmo con una grande cupola tempestata di finestrelle a forma di stelle. L'aria è calda e umida ma non piena di vapore come mi sarei aspettata. La ragazza mi indica un lavello dove scorre l'acqua, mi fa segno di sedermi e di insaponarmi e mi mostra una vaschetta con cui posso prendere l'acqua. Eseguo, un po' incerta dato che c'è solo una ragazza stesa sul tavolo di marmo e non posso copiare nessuno.
Il fatto è che ai bagni Cagaloglu, famoso hamam a metà strada tra Santa Sofia e il Grand Bazaar, puoi scegliere varie opzioni:

1. il fai da te, dove puoi lavarti per conto tuo “mentre guardi il tessuto storico dell'hamam”.
2. il guanto di crine e lavaggio, per un effetto peeling su tutto il corpo
3. il massaggio alla turca, dura dieci minuti ma promette di farti rinascere
4. il servizio bagno completo, offre il 2 e il 3 insieme
5. il servizio completo orientale di lusso, dopo il massaggio secco (2) offre anche il massaggio “ottoman di lusso” non meglio specificato
6. il massaggio aromateriapia con oli, che dura 45 minuti
7. il servizio imperatore sultano mahmut, che comprende: massaggio secco, massaggio di schiuma, due massaggiatori per il rilassamento, idratante speciale e spremuta d'arancia.

Dato che i due massaggiatori non ci sono di sicuro, visto che nei bagni uomini e donne sono rigorosamente separati, scelgo il massaggio alla turca, ma non son mica tanto pratica, non ho idea della procedura. Comunque intanto mi insapono, che dopo la sfacchinata della mattina una lavatina ci sta bene.

Boh, adesso che faccio? Magari mi distendo anche io, giusto per rilassarmi, come fa quella là. C'è caldo, adesso. Va' che bel lampadario, dodici lanterne in circolo, tutto esagonale, anche le porte son belle, cioè, non sono porte propriamente, sono aperture con le volte trilobate, e tutto è in marmo bianco e grigio. Mentre son lì che penso arriva una ragazza, si spoglia, grandi tette e grande pancia, si bagna, si infila un costume nero (la divisa delle inservienti), prende una saponetta e viene verso di me.
Mi sorride, Naila, denti bianchi e occhi neri. Mi fa segno di distendermi e comincia a insaponarmi, e insapona, insapona, dalla testa ai piedi, massaggia e insapona, insapona e massaggia, poi mi fa voltare, insapona, insapona, massaggia e insapona, insapona e massaggia, poi mi fa sedere e massaggia, insapona e massaggia. Ora capisco perché c'è scritto che le saponette sono comprese.
Secondo me non son mica solo dieci minuti, ma mica la fermo.
Poi mi fa alzare, mi riporta al lavello, mi fa sedere sul telo e comincia a sciacquarmi. Mi sento un po' come quelle regine che si vedono in certi film. Toh, penso, non ho neanche un fermaglio per i capelli, si bagneranno un po' anche se li tengo su con la mano.
Seduta dietro di me, Naila occhi neri, “rilassati” mi dice, e mi fa appoggiare la nuca tra le sue enormi tette, poi a tradimento mi butta una secchiata d'acqua in testa e comincia a insaponarmi, massaggia e insapona, poi un altro paio di secchiate, risciacqua e ancora insapona, massaggia, risciacqua.

Beh, non c'è dubbio, sono veramente pulitissssima. E mica lo sapevo che quando si dice bagno turco si intende propriamente bagno per lavarsi come un turco. Pensavo che l'iperbole si riferisse solo al fumo, ecco.
Nel sogukluk, stanza adibita al rilassamento dove tre ragazze sembrano dormire avvolte nei loro morbidi asciugamani, mi consegna un telo asciutto, mi ci avvolge, poi con un asciugamano mi fa un turbante, mi prende ancora sotto braccio e mi accompagna allo spogliatoio.
Sulla ringhiera del camekan, in alto, c'è un grande cartello: Cagaloglu Hamami - One of the 1,000 places to see before you die.
Non ho idea di quali siano gli altri posti, ma ora sono a quota 999. Almeno a mia insaputa.
Quando esco, prendo un paio di saponette, così per ricordo. Anche se mi sa che la Naila non me la dimentico.

mercoledì 28 dicembre 2011

Instanbul giorno uno

La sala della colazione dell'Hotel Obeliscus alle otto è deserta. Un gabbiano cerca col becco briciole di pane battendo col becco sulla vetrata, un passerotto svolazza di tavolo in tavolo e poi si ferma a guardare il mare.
Etienne, giovane e solerte commerciante incontrato sulla via, ci accompagna all'ingresso della Moschea blu, facendoci da guida, e ci lascia sulla porta dove un gatto sembra fare la guardia.

Con le scarpe nel sacchetto e la sciarpa sulla testa entriamo nella moschea, chiusa per due terzi da una ringhiera oltre la quale un uomo sta accuratamente passando l'aspirapolvere.
Grandi lampadari scendono quasi fino a terra, e nient'altro. Alle pareti, bellissime piastrelle decorate contornano finestre e vetrate, il sole riflette sul pavimento strisce di luce colorata. L'aria fredda passa dai portali spalancati e arriva ai piedi scalzi e poi su alle gambe.
Fuori, una lunga fila di rubinetti per lavarsi i piedi e sgabellini di pietra dall'aria gelida, sei minareti dall'aspetto imponente e grandi portali di legno.

Poco distante entriamo nella Cisterna Basilica, grande sala sotterranea dove centoquaranta colonne in fila si riflettono nell'acqua creando strani riflessi. Oltrepassiamo i divanetti dove propongono fotografie in costume da ottomano, il chiosco di cartoline e il Cistern Café con menu fast food. Prendiamo l'audio guida, un auricolare per ciascuno, ridiamo tutto il tempo alla pronuncia della voce recitante che sembra Ollio in versione femminile e lanciamo una monetina nella vasca dei desideri.
Se il mio si avvera ve lo dico.

A Palazzo Topkapi ci sono le guardie armate, ma i turisti sembrano non farci caso. La residenza dei sultani è grande, veramente grande, le stanze dell'harem sono tappezzate di piastrelle più della moschea blu, il famoso pugnale con gli smeraldi ha degli smeraldi così grandi che sembrano finti e il grosso diamante, controllato da una guardia, è egregiamente riprodotto nel museum shop all'ingresso, come gran parte del preziosissimo tesoro dei sultani. Sembra proprio una favola. Da una delle terrazze si vede il canale del Bosforo, e il vento gelido mi fa lacrimare gli occhi. Non posso non farmi immortalare proprio qui, anche se mi è sceso il mascara, anche se il vento gelido mi scompiglia i capelli, anche se ci sono cento persone nella stessa posa, con la stessa aria infreddolita.

martedì 27 dicembre 2011

Viaggio a sorpresa giorno zero

Dopo un'ora e mezza di viaggio in macchina in direzione est, le probabilità che la meta della mini-vacanza sia Roma scemano drasticamente, e si profilano invece altre due ipotesi: una tre giorni di mare d'inverno a Jesolo Lido o l'aeroporto di Venezia.
Opto per la seconda, che si concilia anche con la presenza dei passaporti nella tasca esterna della giacca del Bighi, che ce li ha infilati di nascosto (nulla sfugge all'occhio vigile della Wonder).

Venezia porta d'Oriente. Magari avrei potuto arrivarci, con uno sforzo d'immaginazione. Ma una sorpresa è una sorpresa, e Istanbul non fa eccezione.
La passeggiata all'una di notte ci affascina, la luce gialla dei lampioni si mescola al nero della notte e ci riempie di frizzante curiosità.

lunedì 26 dicembre 2011

Natale a sorpresa

Sembrano tante, tre settimane.
Uno pensa che in tre settimane avrà tempo per fare, mangiare, salutare, vedere tutto quello (quelli) di cui ha nostalgia, e anche qualcosa in più.
Ma non sono mica tante, tre settimane. Infatti ne son già passate due.

A casa dell'Amica Barbara e del Gio conosco la mosaicista motociclista quadrimamma e mangio i bigoli con l'anatra, al Caffè Trento faccio colazione con l'Amica AleSarda e una brioche alla crema, alla Locandina Cappello bevo un Lugana con il Vicino Preferito, alle Giubbe Rosse guardo e leggo e compro libri, alla Feltrinelli guardo e leggo e non compro niente, alla Fnac mi perdo il concerto di Mario Biondi ma incontro AnnaLaRossa, in ufficio vedo il Supercapo T e la collega Fabi, e in banca saluto le quasi-colleghe e i quasi-colleghi e il quasi-capo dal nome di tram.

Riempiamo la casa di bambini e di palloncini per la festa di compleanno della BB, svuotiamo bottiglie di vino e teste dai pensieri per la cena con l'Amica di Arbizzano e Pietro l'Architetto, inzuppiamo il pandoro nella grappa e il panettone nel caffè, mangiamo di nascosto il budino al cioccolato e amaretti, lasciamo le bimbe grandi al NonnoGP per il Progetto Educativo che prevede la visita al più importante monumento cittadino, passeggiamo tra i negozi e le luci di Natale, beviamo un caffè viennese da Tubino e annusiamo l'aria familiare delle strade e delle piazze.
A casa dei Tini facciamo festa con i vecchi amici e mangiamo pizza e arrosticini e frutta secca, a casa della ZiaSandra facciamo colazione e confusione, a casa della NonnaMimmi passiamo il giorno di Natale.
Mica tutto, però.

Il Bighi, proprio lui, il marito romantico solo in fondo in fondo, l'uomo nordico d'aspetto e di cuore, l'ingegnere algido dalle passioni nascoste, mi ha portato via con sé.
Ha disseminato le figlie dai i nonni, ha prenotato una vacanza con destinazione segreta e il giorno di Natale, mentre tutti scartavano i regali in un tripudio di carte e fiocchi e baci e abbracci, mi ha preso per mano e silenziosamente ha chiuso la porta dietro di noi.
In valigia, una felpa di pile, un paio di jeans e un costume da bagno, perché non si sa mai, e un paio di stivali, perché le decolleté tacco dodici sono bellissime ma hanno lo svantaggio di non essere particolarmente comode. 
E io, che vorrei avere sempre tutto sotto controllo, che pianifico le mie giornate come un manager, che prima di partire leggo la guida turistica dalla prima all'ultima pagina, mi sono abbandonata al gusto insolito dell'ignoto.

domenica 18 dicembre 2011

Casa dolce casa

A Monaco, seduta sul divanetto della lounge ad aspettare il volo che ci porterà in Italia, mi sorprendo interessata ad ascoltare i discorsi incomprensibili sulla finanza di due signori che parlano una lingua del tutto comprensibile. E ce ne sono tante, di persone che parlano una lingua comprensibile, ne sono circondata. Sensazione bizzarra e inaspettata.
All'aeroporto, ad aspettarci, tre di quattro nonni, una macchina (intesa come macchina fotografica), due macchine (intese come automobili) e un pioggia leggera. A casa, grazie all'intervento della Gallia, nordica domestica che per l'occasione si è divisa in partes tres, niente polvere, niente teloni sul mobilio e tappeti puliti sul pavimento lucido.
Nel frigo, grazie al cuore di mamma della NonnaMimmi, sei uova, un litro di latte, due mozzarelle di bufala e una mezza soppressa, oltre a una discreta fornitura di biscotti.
Sul divano, grazie al cuore di Santa Lucia dello ZioAlberto, un bambolotto che fa il bagno, una barbie con il vestito allungabile e un vassoio di trucchi e belletti.

Dopo dieci minuti dall'approdo il pavimento della Bighicasa è ricoperto di giochi che le tre cucciole, ribattezzate per l'occasione Tifone Uragano e Tempesta, hanno ritrovato dopo quasi cinque mesi di astinenza.
Minimizzo, immaginando di schiacciare sotto i piedi frammenti di conchiglie sulla spiaggia anziché collane, forcine e cubetti del Lego sul tappeto della sala.
La Gabbianella non riconosce più la Circe, schnautzer sale e pepe in cui affondava la testa facendo Ooooo e a cui allungava di nascosto pezzetti di prosciutto e biscotti della colazione, e mi si aggrappa addosso come una cozza appena la vede. Gatto selvaggio si arrampica sul letto a castello senza la scala e si dondola a testa in giù. La BB si trucca occhi e bocca che quando il Bighi la vede fa un mezzo infarto proiettandola in una paventatissima anche se non imminente adolescenza.
Siamo arrivati.

martedì 13 dicembre 2011

A volte ritornano

Partiamo.
Ecco, giusto perché il comitato accoglienza possa organizzare la fanfara, arriviamo domani, alle tredici ora locale.
Sono gradite bandierine, trombette, petardi e coriandoli.

lunedì 12 dicembre 2011

La cena degli auguri

Arriviamo all'appuntamento un po' in ritardo, al 220 di Kang Ping Lu, strada silenziosa e deserta e buia nonostante la luna piena e il cielo limpido, senza stelle.

Nell'ingresso ampio e caldo del Petit Jardin c'è un lungo tavolo apparecchiato con caraffe di sangria e succo di anguria, biscottini dolci e vasi trasparenti con mazzi di fiori di campo. Buttiamo le giacche su un divano e prendiamo un bicchiere, contenti per una volta di aver lasciato le bambine a casa, così possiamo goderci la serata senza correre a salvare la cristalleria ogni minuto.

La gente è ancora in piedi e chiacchiera in varie lingue, anche se prevale l'italiano: ci sono due famiglie di coreani, una di iraniani, qualche inglese e qualche francese e qualche cinese sparso e una decina di italiani, a tratti con prole.

Per antipasto insalata con pomodorini, feta e uova, prosciutto crudo con ripieno di ananas che finisce in un baleno, salame e rucola con grana, olive marinate, formaggi freschi e stagionati, pane casereccio e vino bianco.
Le porte senza maniglie restano sempre aperte, e la gente va e viene con i piatti pieni, e si ferma a chiacchierare in piedi, torna al suo posto o cambia tavolo.
Pasta al ragù, risotto con i funghi, linguine al pesto, e poi pollo piccante (pane e vino rosso in quantità per recuperare l'uso delle papille gustative), filetto con verdure alla griglia, pesce con olive verdi e nere.
Scendendo alcuni gradini la sala si allarga, e accanto alla porta-finestra che lascia spazio a un albero incastrato tra i muri c'è un divanetto, alle cui spalle troneggia una porta, appoggiata come fosse un quadro.

Alle pareti, lunghi scaffali pieni di libri, vasi di edera ricadente, vecchie sedie di legno incastrate sulle mensole, la foto incorniciata di un gatto, ritratti antichi di signore impettite con i capelli raccolti e i fianchi stretti in corpetti con mille bottoni.
I piccoli tavoli quadrati e rotondi sono circondati da sedie di metallo piene di cuscini, sedie di legno e poltroncine con i braccioli, un gatto bianco e rosso è acciambellato su una poltrona e uno tutto bianco più irrequieto gira nelle stanze schivando le gambe degli ospiti.
In un angolo l'albero di Natale, con gli addobbi di stoffa bianca e rossa, in un altro una vecchia cucina economica bianca e verde usata come appoggio per bottiglie vuote e libri impilati. Le luci sono soffuse, e le lucine di natale lampeggiano dolcemente attorno all'albero e sui lampadari, vecchie gabbie di legno per uccelli o di metallo intarsiato. Suona una musica natalizia di cornamuse e di chitarre, coperta dalle grida di bambini e dal mormorio incessante.
Pezzetti di torta al cioccolato e di soffice cheescake. Vino rosso. I nuovi amici, vicini, e qualche faccia sconosciuta, o quasi, di contorno.

Quando usciamo, a mezzanotte, a due passi dal Grand Gateway, la città sembra deserta, l'aria fredda pizzica le guance e le gambe, e per un momento mi sento come tanti anni fa, senza pensieri, mentre saliamo abbracciati sul taxi e la Rebecca, amica cinese, si allontana per mano al fidanzato e saluta agitando la minuscola borsetta.

venerdì 9 dicembre 2011

Chinese Style

Al numero 1121 di Fuxing Zhong Lu, poco lontano dalla fermata della metropolitana, c'è un enorme edificio, il Tea City.
Fuori, sulla piazzetta all'ingresso, banchetti organizzati sotto tende bianche vendono vermicelli, noodles, spugne e funghi secchi, anatre secche tutte intere, anatre laccate e pezzi di anatra freschi, tè in pezzi, caramelle, pesci interi e pesci a pezzetti, dolci al sesamo, ravioli al vapore e salsicce bollite.
Dentro, tre piani di negozi con grandi barattoli trasparenti pieni di fiori, palline di tè, tè in foglie e tè sminuzzato, tè pressato e tè in blocchi, infusi di fiori e frutti, tè al gelsomino, al ginseng, verde, rosso, oolong, scatole e teiere, bacchette e ciotoline, e l'attrezzatura completa per la cerimonia del tè. Poi statue di budda, rane con le monete in bocca, draghi e tigri, vasi e fuochi d'artificio, che van sempre bene per tenere lontani gli spiriti cattivi.
Il venditore ci fa assaggiare qualche specialità, mette l'acqua bollente nella minuscola teiera, versa il tè in un altro minuscolo contenitore, con quello sciacqua le minuscole ciotoline che prende con le bacchette e rovescia sulla stuoia, e poi versa il tè, guardandoci in attesa del giudizio.

Compro delle belle scatolette di jasmine tea, oolong e le palline che immerse nell'acqua diventano fiori bellissimi, anche se forse l'infuso non è granché e non ho capito niente della spiegazione delle virtù delle varie specialità.

Più tardi, sulla FuZhou Lu, strada ricca di librerie e negozi tra Piazza Renmin e il Bund, ci fermiamo allo Shanghai Foreign Language Bookstore, quattro piani sorprendentemente deserti dove cerco invano un libro esaurito e dove dopo lunga ricerca compro tre libretti per le mie bambine, uno per una. Litigheranno, ma pazienza.

Alla sera, mentre le bambine dormono, sorseggio il mio infuso di rosa e arancia, aspettando che il Bighi torni a casa. Non so come si svolgano di solito le cene con i manager, ma di sicuro terminare la serata al karaoke è molto cinese.

martedì 6 dicembre 2011

Errori e spropositi, ovvero Dell'ereditarietà dell'apprendimento tardivo

La BB, cinque anni quasi sei, sta imparando da sola a scrivere al computer. Mentre ero impegnata al Community Center per la mia seconda dose settimanale di lezioni di cinese, la fanciulla, in vacanza forzata, ha provato a mettere su carta (ops, su file) quello che abbiamo fatto insieme.
Qui di seguito un distillato del titanico sforzo.
- falalalala lalalala cara mamma grazie
- oghi sonoandata al mercato dei fiori e ogi o fatoic honpiti a caza
- e stata la bb a fareichopiti dichineze
- e la mamma eandata a chnpahhare gatto a la zilo
- papanonafato i chonpiti
- perononsochozasocrivere
- ogi papa cercaditornare
- cao la bb
- lia fa lesionedichineze chon me
- o 5 ani
- BIGGIGOCI CIGAAILASASOGONTI
- CIGUOZFALANLIPINGUOTAOSELHOSHZLIZLILI

Risulta piuttosto evidente che ha ancora notevoli carenze grammaticali, serie difficoltà nel distinguere i suoni delle tre lingue e molte incertezze nella separazione delle parole in italiano e cinese (ancora non si cimenta a scrivere in inglese), ma ritengo superfluo angustiarsi adesso, a tre mesi dall'inizio della scuola.

Quello che preoccupa è che ha telefonato in Italia, al cellulare, alle tre e quarantacinque ora locale. Dopo tre tentativi, la povera NonnaMimmi ha risposto. Sono rimaste al telefono tre minuti e ventinove secondi. Non ho idea di cosa si siano dette, ma la BB sembrava piuttosto soddisfatta della sua impresa.

La BB ha imparato a telefonare con skype, e nonostante sia stata bonariamente redarguita non ha ancora ben chiaro il concetto di fuso orario. Però confido che col tempo lo capisca.

Invece temo sia superfluo sperare che la NonnaMimmi impari a spegnere il cellulare quando va a dormire.

lunedì 5 dicembre 2011

Mani fredde, cuore caldo

Le finestre sono appannate, e quando sposto la tenda una goccia di condensa scende incerta lungo il vetro e lascia una scia trasparente.

Il vento punge la faccia e le mani mentre allaccio la bici al palo e ficco in borsa il giornale che non avrò tempo di leggere, né voglia, forse.

In casa dell'Amica Francese c'è profumo di torta e caffè, e vogliamo prendercela comoda, ma dopo un'oretta usciamo verso TaiKangLu, perché Esse, mamma delle AASisters, è arrivata da un mese e non ha ancora fatto la turista, e vogliamo mostrarle un po' della nostra Shanghai.

In questa gelida mattina di dicembre Tianzifang è quasi deserto, anche se la luce è bellissima e c'è aria di festa, e non basta entrare in tutte le bottegucce per prendersi un po' di caldo, dal momento che la maggior parte non è riscaldata. Però mi piace guardare ancora tutte le ciotole, gli uccellini di ceramica, le borse di stoffa, le sciarpe e le piastrelle di smalto, le cartoline, i qipao, le bacchette colorate, i ventagli, le scatole, le bamboline le collane e mille cianfrusaglie, perché anche se le ho già viste dieci volte c'è sempre qualcosa di nuovo, sempre qualcosa di nascosto da scovare.

Camminiamo nel freddo fino a XinTianDi, e ci fermiamo a mangiare da M and J, ristorante italiano pieno di orientali al 156 di Xing Ye Lu, perché siamo stufe del cibo cinese e abbiamo un po' di nostalgia, e le fettuccine con pancetta e piselli e funghi sono buonissime.
Stiamo così bene che quasi ci scordiamo l'ora, e ci tocca correre un po' per tornare a casa dalle cucciole.

Qualcuno dice che il tempo non passa, a stare senza lavorare.
Io sono di altro parere.

mercoledì 30 novembre 2011

Getting sick

- Mamma, la maestra ha detto che due mie compagne sono seccate.
- Come seccate?
- Eh, così ha detto, sono seccate, e io così devo restare a casa due.
- Due cosa?
- Due così. Perché due bambine sono seccate.

Poi non ditemi che non ho fantasia se capisco che le prossime due settimane la classe della BB chiude perché due bambine si sono ammalate di HFMD.

lunedì 28 novembre 2011

Lunedi nero

Lunedì è giorno di spesa. Dopo le gozzoviglie del fine settimana, comprensive di cena a CasaBighi con otto adulti e sette bambine sette, il frigo piange e la dispensa fa l'eco, per non parlare delle cucciole, che lungi dal pigolare sempre più piano (come immaginava quel poeta là) quando hanno fame urlano sempre più forte.

Con l'Amica Doris automunita affronto la ressa del Gialeful di Gubei, il supermercato che vende di più al mondo (non so dove le vada a prendere 'ste statistiche, la Doris). Dopo due ore e mezza arrivo alla cassa con un carrello che neanche il servizio approvvigionamenti del Corpo degli Alpini (le statistiche dicono il vero, lo so, e prendono i dati direttamente dal mio carrello).
Ops, il bancomat non c'è. Guardo meglio, non lo trovo. Svuoto tutto, niente da fare. Mi viene caldo, molto più di quello che c'è fuori, e non è che mi posso spogliare molto dato che sono in maglietta. Fingendo nonchalance faccio un misero tentativo di utilizzare la carta italiana, ma tanto so che non funziona anche perché non mi ricordo più il pin.

L'Amica Doris, saggia e concreta, mi suggerisce di mantenere la calma e guardare bene nella borsa, e poi paga lei i quintali di latte e pomodori pelati, pasta e carta igienica che costituiscono i beni di prima necessità per la prossima settimana. Per la verità c'è anche un barattolo di Nutella, ma ormai è considerata prima necessità anche quella.

A casa la tessera non c'è. Vado alla banca di fronte, dove di solito prelevo il contante, ma non hanno trovato una carta nell'atm, che magari, pensavo, l'ho lasciata là l'ultima volta.
Vado alla filiale della Bank of China dove ho il conto, spiego la situazione, il che comporta un notevole dispendio di energia dato il mio inglese burino e il loro peggio del mio.
Dopo cinquantacinque minuti, durante i quali (oltre a verificare di avere ancora i soldi sul conto, sudare ancora un po', firmare carte e mostrare documenti) ho cercato invano di bloccare per telefono una carta di credito inesistente, perché vagli a spiegare che non ho la carta di credito, ho solo quell'altra carta, come diavolo si dice in inglese? Quella che non è di credito... il bancomat, quella carta che serve per pagare, per prelevare... Vabbè, carta di debito non mi veniva, ok? Non l'ho mai usato neanche in italiano 'sto termine, figurati se ci penso in inglese.
Dopo cinquantacinque minuti, dunque, finalmente mi dicono che posso avere un'altra carta. Uff, che calòr. Però non subito, eh, tra una settimana. Ok, aspetto, per una settimana posso ben fare con i contanti. Posso avere dei contanti? Eh, no, senza carta no. Cioè, una settimana per avere la carta e non posso avere dei soldi adesso, mica tanto, che so, trecento euro? Duecento? No no, impossibile, il conto viene congelato per sette giorni.
A proposito di congelati, ho lasciato la spesa in garage.

venerdì 25 novembre 2011

Prima del ritorno

La BB e Gatto Selvaggio passano pomeriggio e sera dalle AASisters.
Il Bighi è a cena fuori.
Quando la Susie se ne va, alle cinque del pomeriggio, io e la Gabbianella restiamo sole.

Andiamo in bicicletta al mercato dei fiori, a guardare le luci degli addobbi di Natale, le composizioni di candele e peperoncini rossi, i festoni di foglie e fiori e pigne, i rami dipinti d'oro e d'argento e i carretti pieni di stelle rosse.
A casa, facciamo una torta, leggiamo un libro, giochiamo a nascondino, sbucciamo piselli.
Mangiamo involtini di pollo e fette di prosciutto e bambù d'acqua ascoltando Tiziano Ferro, che ci piace soprattutto quando canta Breathe Gentle, e Prince, i Muse, Dr. John, Meiko Kaji e Biagio Antonacci, perché abbiamo messo l'opzione random al computer. Ci facciamo le carezze tutte unte e ci teniamo la mano mentre beviamo, io dal bicchiere e lei dal biberon. Togliamo la mollica dal pane e lasciamo lì la crosta, ci imbocchiamo, facciamo bubu-settete col bavaglino.
Restiamo a guardarci, io seduta per terra e lei sul water, perché non c'è niente di meglio che fare la pipì mentre la mamma racconta una storia.
La Gabbianella, gustandosi l'assenza delle sorelle, fa le facce buffe per farmi divertire, si rotola sul divano e ride mentre scappa col pannolino in mano.
E anche a me questo inedito status di madre single di figlia unica non dispiace per niente.

mercoledì 23 novembre 2011

Tutto in pezzi

Dunque, riassunto.

Il campanello non funziona. Non ricevendo molte visite, il guasto risulta di lieve entità.
La zanzariera della camera da letto si è bloccata a metà, non va più né su né giù, ma siccome la stagione delle zanzare è finita, anche questo guasto non è rilevante.
La lavastoviglie si stacca dal fondo e il carrello dei piatti scivola sul pavimento, così oltre a raccogliere i cocci mi tocca pure lavare per terra.
I quattro faretti della libreria sono tutti rotti, tranne uno.
Il condizionatore nella camera degli ospiti resta sempre acceso, con temperatura fissa su 26 gradi. Quello in sala si attiva quando accendo la TV, e cambiando canale posso anche regolare la temperatura, ma solo verso il basso.

Diciamo, eufemisticamente, che la casa ha bisogno di qualche ritocchino.

Sabato sera, durante la cena coreana, dopo un'ora a mangiare bocconcini di pancetta seduta per terra su un cuscino minuscolo ho perso l'uso delle ginocchia, nonché quello delle papille gustative, avendo inopinatamente azzannato un pezzetto di peperoncino verde subdolamente nascosto nell'insalata. Non essendo permanente, la perdita risulta di lieve entità.
Domenica la Gabbianella ha preso una botta in testa, le è venuto un bernoccolo blu in mezzo alla fronte e io ho rischiato di svenire, al solito, con l'aggravante che mi trovavo nella toilette del KFC, dove per inciso il pranzo era immangiabile. Siccome ho solo rischiato di svenire, e il malessere è lentamente scemato dopo l'applicazione del ghiaccio della Gabbianella anche sulla mia fronte, il danno non è molto rilevante.
Lunedì mi son tagliata un dito affettando il pane.
Martedì mi son scottata la mano con l'olio bollente facendo le patate in padella.
Oggi ho dimenticato la parent conference con la maestra del Gatto Selvaggio.

Diciamo, eufemisticamente, che non sono molto in forma. Dubito che sia solo colpa del vento, e in ogni caso, viste le premesse, trovo assai poco probabile che io riesca ad arrivare intera al fine settimana.

giovedì 17 novembre 2011

L'effetto inaspettato e tardivo dell'arte moderna

Le foglie secche ricoprono i viali, colorato tappeto spazzato dal vento che entra in casa quando apro la porta. L'aria è densa di pioggia, calda, appiccicosa.

L'M50, quartiere di artisti al numero 50 di Moganshan Lu, sulla riva del fiume Wusong, è quasi deserto. Non si respira l'odore dei colori, dei quadri, dei pennelli. Non percepisco fermento culturale né lo spirito vivace dell'impulso creativo. Forse, il cielo è troppo grigio.

Le gallerie espongono opere astratte, naif, tristi, bizzarre, a tratti commerciali, piatte e improbabili, troppo grandi, troppo costose, provocatorie. Foto in bianco e nero con dettagli rossi, immagini della Cina rurale, tele completamente rosse o gialle o nere, corpi nudi di donne legate, visi smunti e tragici, ritratti infantili, installazioni incomprensibili, teste di bronzo senza occhi, animali fantastici, inquietanti sculture, quadri tridimensionali.
Alcune stanze sono allestite per laboratori creativi, sembra che qualcuno sia stato lì poco prima, ma non c'è nessuno. Ho l'impressione di camminare in una quarta dimensione, in un villaggio deserto, unica sopravvissuta a un disastro che ha lasciato tutto intatto, spiata da occhi nascosti dietro una parete con i quadri accatastati.
Tra le gallerie e le pozzanghere alcuni negozi vendono oggetti di uso comune, vasi di porcellana, bicchieri a forma di lattina, teiere, ciotole e collane, borse di stoffa e sciarpe, orecchini, vestiti-scultura, scatole di legno.
Il bar dove mi siedo è caldo, troppo. L'uomo sulla poltrona di fronte mi guarda, ha una macchina fotografica e un cappello bianco. Il caffè macchiato è una grande tazza di latte con un po' di caffè.

Quando torno a casa sono inspiegabilmente contenta.
C'è una rosa fiorita in giardino.

mercoledì 16 novembre 2011

Prospettive

Il Parkway Health è un ospedale abbastanza conosciuto, anche se la sede di HongQiao Lu, a dieci minuti in bici da casa nostra, non è molto grande e dall'esterno somiglia vagamente a un'agenzia del turismo.

Quando io e la BB (io piuttosto depressa e la BB un po' stranita) ci presentiamo all'ingresso, un ragazzo in giacca scura e camicia bianca ci apre la porta e ci viene incontro neanche fossimo all'Hotel Plaza, e ci fa segno di accomodarci. Compilo carte, consegno passaporti e tessere assicurative, faccio firme. Quando dico che mi manda la scuola, non ci fanno aspettare neanche cinque minuti.
Qui le scuole fan sul serio.

La YCIS, ma anche altre scuole e alcuni asili (quello del Gatto no, evidentemente), per evitare la chiusura a causa della ormai famigerata HFMD ha predisposto alcune misure precauzionali, che consistono in tre operazioni fondamentali svolte con meticolosa precisione tutti i giorni:
- prima varcare il cancello della scuola, a ogni bambino viene misurata la temperatura;
- prima di entrare in classe, a ogni bambino viene consegnata una salvietta disinfettante con cui si pulisce le mani;
- in classe, una infermiera controlla mani e bocca.

Questa mattina la nurse ha trovato un puntino alla BB. E' sulla guancia, bello grosso in verità, l'avevo ben notato anche io.
Primo provvedimento: avvisare i genitori.
Secondo provvedimento: consigliare vivamente una visita dal medico, per avere conferma della diagnosi. Ciò significa che non puoi tornare a scuola se non hai un documento che certifica il tuo stato di salute.
Che palle. Qui il medico c'è solo in ospedale, gli ospedali sono privati e se non hai la carta di credito non ti fanno neanche entrare.
Ma la cosa che mi ha demoralizzato di più, che proprio mi ha provocato un calo di pressione che mi son dovuta sedere, è stata la prospettiva di due settimane a fare da teacher alla BB.
Sono stanca già con il Gatto Selvaggio, con le sue attività di musica, matematica, lettere e varia creatività (ed è solo all'asilo!). Non so se ce la faccio.

La dottoressa controlla mentre parla, parla mentre controlla e alla fine decide che il famigerato puntino rosso che aveva inquietato la nurse della scuola è una puntura di zanzara.
Sono così sollevata che scendendo le scale do un bacio alla BB, neanche fosse merito suo se non è malata, sorrido all'usciere, che è pure un bel ragazzo (ora che ci penso, anche l'unico bel ragazzo cinese che ho visto finora), e sulla strada mi fermo a comprare una ciambella al cioccolato.

A volte basta poco per avere voglia di festeggiare.

lunedì 14 novembre 2011

Exegi monumentum aere perennius

Dalla storia non si impara. Ci sarebbero milioni di esempi per avvalorare questa affermazione (piuttosto deprimente se si pensa che siamo costituiti per lo più da storia), ma transeat.

Nel mio piccolo, lungi dall'imparare dagli errori degli altri, faccio molta fatica a imparare qualcosa anche dai miei, e non mi conforta l'idea di essere in buona e abbondante compagnia.
A&A, sorelle ricciolute e chiacchierine, arrivano dall'Italia al seguito dei genitori per trovare casa a Shanghai. Sapendo che siamo qui, suonano alla porta, scortate da MammaEsse, un giovedì pomeriggio, mentre ancora siamo impegnate nei compiti e immerse nella baraonda del quasi-fine-settimana. Mentre le bimbe giocano faccio una torta di benvenuto, che però tra preparazione e cottura è pronta alle sei e quaranta, che non so lì, ma qui è quasi ora di cena. Vabbè, per oggi mangiatevi una banana, la torta sarà per la prossima volta.
La quale prossima volta si presenta un mese dopo, di venerdì, quando la baraonda tocca una delle vette più alte (l'apice si raggiunge alla domenica mattina, circa). Ma, imperterrita, decido lo stesso di preparare un dolce, a richiesta con la cioccolata. Che tra preparazione, chiacchiere e caffè, è pronta poco prima delle sette. Aridaje.

Ok, non mi faccio più fregare. MammaEsse per piacere quando vieni avverti prima, così la torta la faccio in anticipo. Al cioccolato, certo. Ci metto anche le mandorle, volete? La torta che si chiama SuccessoGarantito, quella là, piena di burro ma così buona che non si resiste. La panna? No, niente panna. Faccio fatica a trovare il latte, figurati.
La metto in questa tortiera qua, lunga, va' che bella.

Cos'è 'sta mania di cambiare, far cose nuove, diversificare? La torta non si cuoce. Immagina la faccia quando, mezz'ora prima che le AA Sisters suonino alla porta, la tolgo dal forno in formato liquido. Mai successo, al SuccessoGarantito. Che faccio? Boh, la rimetto in forno, cuoce un altro po'.
Niente da fare, liquidità che neanche nei sogni più audaci di quest'Italia post-berlusconiana.
Ma non posso mica buttarla così, che tristezza.
Ok, tanto vale provarci, la tolgo dalla tortiera, la metto in forno così come sta, tutta spampanata, direttamente sulla piastra, e vediamo cosa succede.
Tempo totale di cottura: due ore e quarantacinque.
Ma mica è bruciata, no. È solo un po' dura. Con un coltello da macellaio ne posso fare dei quadrotti, o meglio delle scaglie, che ti ficchi in bocca intere, ché tanto il finger food fa molto chic.
Così non ho neanche problemi di conservazione. Se la Gabbianella ne nasconde un pezzo, fra duemila anni lo ritrovano tale quale.

sabato 12 novembre 2011

Me&Me

A volte penso che non ci sono tagliata. Per fare solo la mamma, intendo.
Lo so che è un po' tardi per dirlo, che magari avrei potuto capirlo anche subito, ma tant'è, è così. Mi ci vuole un po' prima che le cose mi arrivino al cervello.
È lo stesso anche con le lezioni di cinese, per dire. Passo due mesi a studiare, dimentico tutto, e poi riprendo e allora sì che va bene. Sono a scartamento ridotto.
La settimana è stata pesante, il tempo per me (dove con per me intendo tempo da sola, anche a fare la spesa, per dire) inesistente, e come se non bastasse l'Amica Francese è in vacanza alle PhiPhi Islands, con i piedi nella sabbia bianca e l'ultimo libro di Eco sotto la testa, a fare da cuscino. Il che, oltre a darmi alcuni preoccupanti sintomi di crisi d'astinenza da quotidiana dose di francesitudine, mi fa molta invidia.
E lo so che lo zoo è una grande risorsa, e che riserva sorprese ogni volta, le bambine si divertono e saltano e corrono e scoprono animali e sassi e alberi nuovi; lo so che anche fare bamboline di carta è un eccellente passatempo, e che dovrebbe darmi soddisfazione preparare le torte e poi vedere gli occhi felici delle cucciole mentre ne mangiano tre fette ché tanto il papà non c'è; lo so che mi sto godendo l'età più bella delle mie bambine, e che molti invece se la perdono.

Però, ecco, se qualche volta mi perdessi una mezza giornata non ne farei una tragedia. Per dire.
E oggi, anche se c'è un bel sole dopo tanta pioggia, anche se è sabato e al sabato si sta in famiglia, anche se potrei finalmente sdraiarmi in poltrona e lasciare che il Bighi si occupi delle cucciole, io me ne vado dal parrucchiere, e non mi sento in colpa.
Mi chiudo nel centro benessere che ha fuori la scritta Me & Me, proprio nel momento in cui la giornata è al massimo dello splendore, i colori sono brillanti e nessuno sano di mente si priverebbe di un pomeriggio di foglie rosse e gialle nel parco, di una lunga passeggiata mano nella mano, dei salti dal muretto più alto, di una sosta sulla panchina proprio sotto la quercia più grande e di una merenda consumata sul prato, con la luce che si infila nei capelli scarmigliati.

Massaggio, manicure, ha fretta signora?
Cosa dice se mettiamo questa crema?
Metta, metta, faccia pure. Non ho fretta oggi, no.
Una tazza di tè?
Con piacere, xièxiè.

mercoledì 9 novembre 2011

Giornata normale di una casalinga in erba

Son stremata.

    Negli ultimi due giorni abbiamo fatto una infinità di attività ludico-pedagogiche che hanno coinvolto a turno le cucciole, separatamente o a coppie, e qualche volta anche tutte e tre insieme, cosa che mi stanca più di un convegno di tre giorni sulla crisi finanziaria mondiale e i punti critici nelle dinamiche del mercato internazionale.

    Abbiamo raccolto foglie gialle rosse marroni, disegnato un albero e fatto un collage, cantato tutte insieme Nella vecchia fattoria (scoprendo al proposito che la versione inglese è impronunciabile senza sbagliare), costruito una casetta per gli uccelli con il cartone del latte, copiato foglie dal vivo e colorato foglie disegnate, ballato The Hokey Cokey fino allo sfinimento, colorato e ritagliato triangoli quadrati tondi e ovali, messo in ordine cucchiai e tazze dal più grande al più piccolo e viceversa, dormito, guardato cartoni, letto tutti e cinque i libri presi in biblioteca, ascoltato mille volte If you're Happy e Goldilocks e Incy Wincy spider, giocato al computer con Who Am I e This is my pet (dove per inciso puoi scegliere come pet un elefante o un canguro), ascoltato storie in inglese per le quali avrei avuto serie difficoltà senza i sottotitoli, mangiato noodles con la pancetta e bambù d'acqua in padella, cantato BiAiEnGiOu the dog, ritagliato figurine di carta, vestito le bambole, fatto girandole con le cannucce e animaletti di carta dal nuovo libro di origami.
    Il tutto infarcito di litigi, urla (le mie), lacrime e risate, pannolini, merenda, compiti di scuola, corse sulle scale.

   Mancano ancora undici giorni alla riapertura della scuola.

    Non mi si venga a dire che lavorare stanca.

martedì 8 novembre 2011

Confortanti confronti

Mentre tutta l'Italia sta aspettando il fatidico voto alla Camera per vedere se Mister B si terrà ancora la poltrona, la BB dorme in camera con un po' di asma (scommetto che ce l'ha anche Mister B), la Gabbianella legge sulla poltrona e il Gatto Selvaggio mangia biscotti al cioccolato pucciati nel latte. La giornata si preannuncia lunga, sia per l'Italia intera che per la sottoscritta, costretta a far giocare le cucciole e a far passare il tempo visto che fuori piove (la giornata di un'italiana in Cina ha singolari e allarmanti attinenze con quella di un italiano in Italia).

    Comunque, grazie all'amica AleSarda, abbiamo un sito internet dove si possono vestire le barbie e farci fare la sfilata, e grazie a Mrs Alexis-Gloria una serie di canzoncine in inglese da cantare tutti insieme, storielle da raccontare (Listening) , un calendario da disegnare (I love Math), una casetta per uccellini da costruire con il cartone del latte (Art Class), libri dalla biblioteca da leggere (almeno venti minuti al giorno), e pure la scheda delle attività dell'asilo ora per ora, così magari mi posso adeguare al ritmo.

    A ben vedere, son messa meglio di Mister B.

    Non fosse altro perché, BB dixit uno sconsolato mercoledì di ottobre, qualunque cosa succeda resto sempre la mamma.

lunedì 7 novembre 2011

HMFD e altre consonanti sparse

La Friday Letter di Mrs Alexis-Gloria questa settimana è concisa e piuttosto allarmante. I bambini, tra cui Gatto Selvaggio che nella foto in fondo al foglio sorride nel suo vestito da halloween-principessa, oltre ad aver studiato la lettera I e la differenza tra big e small, stanno imparando a contare fino a venti. Il Bighi lo dice sempre che la nostra secondogenita non è particolarmente dotata per la matematica, ma credo che me ne farò una ragione, visto che sembra in buona compagnia.

    La settimana prossima niente.

    Cioè, non potranno fare niente perché la scuola è chiusa. Eh, vacanza, magari! La scuola chiude perché ci sono stati dodici casi di contagio della malattia HMFD (ma che nome è? Non si riesce neanche a pronunciare, potevano metterci delle vocali, in mezzo), quindi le autorità cinesi impongono alla scuola di chiudere, disinfettare, aspettare che tutti i bambini che possono essere stati contagiati contraggano l'eventuale malattia e guariscano.
    Tempo per la procedura: due settimane. Due settimane? Cosa faccio a casa con il Gatto Selvaggio due settimane? La maestra Alexis-Gloria consiglia di visitare alcuni siti web da cui prendere spunto per giochi didattici, canzoncine e letture, nonché di presenziare a una riunione in cui si parlerà della malattia. Grazie, gran sostegno, davvero.

    Me la sono guardata da sola, cos'è la malattia che sembra una smorfia di un fumetto. Trattasi di virus che provoca la cosiddetta malattia mano-piede-bocca (o piede-mano-bocca, o una qualsiasi delle combinazioni, solo sei se non sbaglio. E da qualcuno avrà pur preso, il Gatto), contagiosissima ma innocua, se si escludono la febbre e le vesciche sulle mani, sui piedi e nella bocca, queste ultime fastidiosette anzichenò. Giorni di incubazione 3-5, giorni di malattia 5-7, terapia nulla.
    Maledico tra me e me le autorità in generale e quelle cinesi in particolare, che non hanno di meglio da fare che controllare che negli asili infantili i pargoli non si ammalino senza curarsi della salute psicologica delle mamme, mentre preparo la cena pensando che devo assolutamente trovare il modo di far mangiare un po' di verdura alla Gabbianella, ché le son spuntati tre brufoli sulla guancia.
    Ma guarda te, poverina, le zanzare ti stanno divorando. Quest'afa non va proprio bene, ormai siamo a novembre e girare ancora in maglietta non è salutare. Faccio una fatica anche a vestirla, ho capito che c'è caldo, ma cucciola, amore, mettiti le calzine che qui il pavimento è freddo, potevan mica mettere il parquet anche qui di sotto? Le mattonelle nella zona giorno son proprio fredde fredde, eh. Ma guarda! t'han punto anche qui, poverina, sui piedi!
    Sui piedi? Va' che è strano, però.
    Fa' vedere le manine, qua. Mmmmh.
    Com'è che si chiamava, la malattia? Ossignur.
  
    Ogni allarmismo è assolutamente fuori luogo, perché la malattia è benigna e innocua. Salvo complicazioni.
    Ecco, è quel salvo complicazioni che mi mette un po' di ansia.
    Anche il fatto che sia contagiosissima non mi tranquillizza molto.
    Posso buttare un po' di consonanti a caso, tipo C, Z, Z? Io ce le posso aggiungere, le vocali, se serve.

mercoledì 2 novembre 2011

Acquisti e perdite

Ma non era finita la stagione delle piogge?
    La metro 3 è in superficie, così posso almeno guardare fuori le gocce d'acqua che sbattono sui vetri e si frantumano prima di scivolare via sullo sfondo grigio di grattacieli e parchi e quartieri popolari, che ho il sospetto non cambieranno colore quando uscirà di nuovo il sole.

    Trovo l'Amica Francese all'uscita 5 di ZhongTan Lu. Non c'è nemmeno un taxi, una pioggia della madonna, vento da scoperchiare ombrelli e un biglietto con su scritto un indirizzo, ma solo in cinese.
    Mai provato il risciò? È un'esperienza che presenta alcuni vantaggi. Intanto è divertente, più che andare in macchina. Viaggi al contrario, perché i risciò a motore con due posti hanno i passeggeri rivolti indietro e coperti da una tenda di plastica blu, così puoi concentrarti sulle macchine che seguono e non ti spaventi delle manovre che fa il motociclista. Poi il risciò si infila ovunque, quindi puoi anche fare a meno di preoccuparti del traffico, e vedere le strade al contrario ha un certo fascino. Ti bagni un po' le scarpe ma che ti fa? Te le saresti bagnate anche a piedi.

    Con il gruppo delle cuoche francesi (di cui alla scuola di cucina cinese chez Ami) decidiamo di visitare un enorme stabilimento di forniture per alberghi. Quattro piani tra pentole e fornelli, grembiuli e mestoli.
    Io sono curiosa, mica cuoca. Vorrei una tovaglia nuova, e magari un frullino così posso smettere di sbattere uova a mano. Non li trovo, ma riesco a spendere lo stesso circa venti euro per sei tazzine da caffè a cui abbino dei piattini a caso, sei ciotole da macedonia, un piatto da torta, un mattarello, una tortiera da crostata, sei cucchiaini da caffè, delle mini mollette di legno, una saliera, un setaccio per la farina, due tazze da tè.
    Ci fermiamo a mangiare in un ristorante sulla strada che sembra pulito, ordiniamo pollo freddo, omelette (le compagne son pur sempre francesi...), fave, fagiolini con melanzane, cavolfiore e bacon e riso cantonese, e mangiamo abbondantemente e di gusto, perché fare shopping mette sempre fame. Torniamo in taxi, perché fare shopping è anche stancante, e mentre attraversiamo la città immerse nel grigio delle pozzanghere e le francesi parlano le loro erre arrotate al rumore ritmico dei tergicristalli, penso che il cibo era buono, e che va bene la scuola di cucina, divertente, ma se ho voglia di mangiare cinese basterebbero tre euro al ristorante più vicino.

    Scendo dal taxi, e non so bene come succeda, sarà che piove e sto cercando invano il portafoglio, sarà che la borsa mi ingombra, o sarà che sono maldestra, ma il pacchetto tenuto con cura sulle ginocchia pieno delle mie tazzine e cucchiaini e ciotole e piattini cade per terra. Sto ferma a guardarlo per qualche secondo, mentre il cartone si impregna di acqua e la mia testa di improperi. Mi scappa un merda neanche tanto francese.

    A casa, con calma, controllo le perdite: sul campo sono rimaste due tazzine e una ciotola. Visto l'impatto, mi aspettavo di peggio.
    Adesso, per avere il servizio giusto, devo trovare il modo di rompere due piattini.
    Quelli son duri a morire, ma un'idea ce l'ho.

lunedì 31 ottobre 2011

Scary Halloween

Quando mi alzo, alle sei e mezza, non c'è molta luce, ma si capisce che è una bella giornata.
    Alle sette e un quarto il sole è tiepido, e siccome l'aria si scalda in fretta per le otto e mezza si può uscire senza giacca (meglio così, perché il giubbino antivento non si intona al vestito da principessa del Gatto Selvaggio, riciclato dall'anno scorso e ammodernato con splendidi fiori a brillantini trovati venerdì nella merceria più grande del mondo, nella città vecchia).

    Allo specchio, prima di uscire, noto un segno vicino all'occhio. Cos'è, una ruga? No, dai, è solo un'ombra. Va' che faccia da paura, stamattina. Adatta alla giornata.

    Sarà che noi non l'abbiamo mai considerato, ma Halloween non ci fa un grande effetto, non fosse per i travestimenti. Però qui la festa è diffusa, e mentre nel compound si decorano le case con zucche, lanterne arancioni, ragnatele e ragni finti (a volte anche veri), fantasmi, streghe, vampiri, le scuole ne approfittano per fare attività creative.
    All'asilo del Gatto Selvaggio si festeggia con una chiassosa sfilata di bambini e maestri in maschera, la proclamazione di una serie vincitori per svariate categorie (il costume più spaventoso e quello più originale, l'animale più bello e il vestito più divertente, quello più magico, quello più carino e quello più creativo) e la consumazione di un pasto comunitario assemblato dalle mamme per l'occasione.

    I bambini più tradizionalisti vestono con maschere da mummia, da scheletro, da zombie. Altri sono vestiti da pinguini, da tigri, da scimmia e da leone. Le bambine sono tutte principesse, tranne qualcuna che ha osato diventare fiore, streghetta o zucca. C'è un ragazzo con un costume da lottatore di sumo, uno vestito da Buzz di Toy Story, l'amico di spuola Kai è vestito da Sullivan di Monsters&Co e suo fratello da Mike, poi ci sono fatine e supereroi, astronauti e fantasmi, ingombranti Transformers di cartone e poliziotti.
    C'è un maestro vestito da omino di panpepato, uno da antico romano ma è troppo alto e troppo scarmigliato per somigliare davvero a un romano, uno da lupo mannaro che invece gli riesce benissimo. Le maestre indossano vestiti da principesse di tutti i continenti, tranne due che viaggiano in coppia vestite da M&M's rosso e verde e Mrs Alexis-Gloria che è vestita da mamma orsa, e per una volta mi sembra che l'abbigliamento sia azzeccatissimo.
    Anche la maggior parte delle mamme presenti allo zoo per la sfilata sfoggia cappelli da strega, parrucche, scope di saggina, vestiti da principessa, trucco nero, veli da odalisca. Una c'ha pure i corni, i leggins e il mantello da diavola, vagamente hard ma si fa finta di niente.
    Io ho optato per un travestimento low profile: i miei capelli, vista l'umidità, non han nemmeno bisogno di un grande trattamento per somigliare a quelli di una strega, e per quanto riguarda il trucco, beh, faccio più paura senza.

    Eclettico è l'aggettivo più indicato per definire il pranzo, dove accanto a ravioli al vapore, frittate alle verdure e bocconcini di carne un tantino piccanti potevi metterti nel piatto cornflakes caramellati, panini salati ricoperti di zucchero colorato, rondelle di sushi, fette di torta al cioccolato, crackers dolci, insalata con maionese, fette di anguria, pandorini, krapfen alla cioccolata, mele e pere con lo yogurt, pomodorini interi, brioches con wurstel, ciambelle, fette di formaggio e dolcetti ripieni di fagioli rossi.

    La Gabbianella, in visita speciale, non fa una piega e mangia quello che trova nel piatto, poi lo spalma un po' sul tavolo e un po' sulla lavagnetta magnetica dove ha identificato mamma tigre e tigrotto che somigliano tantissimo ai suoi amici gatti della terrazza. Dà anche qualche bacetto ai pulcini (quelli magnetici).

    A casa, dopo cena, scopro che l'ombra scura all'angolo dell'occhio è ancora lì. Ma ormai qui non ci spaventa più niente, né il fantasmino che suona alla porta chiedendo dolcetti, né il bacherozzo che entra dalla terrazza, né le falene (quelle piccole), né il camion che ti strombazza alle spalle. Nemmeno la festina della scuola.
    Figuriamoci se ci fan paura le rughe.

domenica 30 ottobre 2011

Ciao papà

- Io puando arrriva il papà lui mi prrende in brraccio
- e mangiamo un cioccolatino grandissimo che ci ha portato!
- e io gli corrro incontrro
- però prima io che sono più grande
- noooo, prrima io, l'ho detto prrima io!
- allora facciamo insieme, va bene?
- occhei
- E tu, Gabbianella, oggi pomeriggio quando arriva il papà cosa devi dire?
- ...
- Pa pà, pa pà. Dai, prova a dirlo, Ciao Papà
- Ba...
- Sì, dai, brava!, pa pà!
- Ba ba ba
- non bababa, Ciao papà...
- ... Babai!

venerdì 28 ottobre 2011

Certezze del dopo cena

   Gatto Selvaggio - Ma puando torrna il papà?
    BB - Arriva domenica! Allora mancano... un giorno! Perché guarda, domani è sabato e poi cosa viene? Domenica!
    GS - Sì ma rresta cinpue minuti e poi va a lavorrarre
    Wonder - (…)
    GS - E io gioco con Kai, che è un mio amico di spuola.
    BB - Ma perché giochi con lui?
    GS - Eh, perrché ci vogliamo bene.
    BB - Ma giochi anche con degli altri bambini?
    GS - Sì! Perr esempio, vediamo, come si chiama puello, puello che ti avevo detto... ah sì, Gieins, e anche Brrendon li.
    W - (femmine no, eh?)
    GS - Poi c'è un attrro macchio ma non mi rricorrdo come si chiama, però lo so ma adesso non mi rricorrdo.
    BB - Mamma, ma come fanno due che non sono sposati ad avere bambini?
    W - (mmmh, vediamo come me la cavo) Beh, tecnicamente nello stesso modo di quelli che sono sposati.
    BB - Perché si vogliono bene?
    GS - Certo, per puello, eh.

giovedì 27 ottobre 2011

Bastano due ore

Silvain è appassionato di montagna, gli piacciono le imprese difficili e affronta la vita come uno scalatore, con risoluta determinazione e un po' di controllata incoscienza.

    Io e Silvain abbiamo lavorato insieme per un po', qualche anno fa.
    Qualche anno fa in effetti è un po' riduttivo per indicare un periodo interglaciale, ma tant'è, anche se sembra una vita (è una vita, anzi almeno tre vite fa), quando ci incontriamo, il che avviene con frequenza più o meno triennale, è come se ci fossimo visti il giorno prima.

    Michele è uno degli uomini più belli che conosco. Ho detto uno degli, non se l'abbiano a male gli altri amici maschi. Mette passione in tutto quello che fa, e cerca i lati nascosti delle cose e delle persone, perché sono quelli più curiosi e quasi sempre i più affascinanti, e possiede l'infantile capacità di stupirsi.

    Silvain e Michele lavorano insieme da millenni, cioè da quando li conosco. Sebbene io sia quasi certa che abbiano anche delle vite separate, con mogli e figli e animali non interscambiabili, nella mia mente sono inscindibili, un po' come il Gatto e la Volpe, Gianni e Pinotto, Cochi e Renato, Peppone e don Camillo, Pippo e Topolino. Si capiscono al volo anche senza parlare, e quando parlano fanno battute e si prendono in giro. Sanno anche stare seri, quando serve, ma sono più belli quando ridono.

    Strano posto per incontrarsi, Shanghai.
    Non sto qui a dire i perché, ma avevamo a disposizione due ore. Due ore a passeggiare, scattare foto, andare a braccetto, parlare.

    Al mercato di Dongtai Lu abbiamo contrattato, comprato spillette di Mao, poster di propaganda comunista, palline da relax, scatolette, una gabbietta per uccelli, braccialetti di smalto, collane, una tazza per la tisana e pendagli di giada.
    Al mercato dei grilli abbiamo osservato gli esemplari più piccoli e quelli più grandi, analizzato le scatole, le gabbiette e le ciotole per l'acqua, visto uccelli e tartarughe, pesci rossi nelle vasche appoggiate per terra con un gatto in agguato e conigli nani in gabbiette impilate, e non abbiamo comprato niente perché un grillo avrebbe vita breve su una scrivania dell'università, anche se mangia poco, anche se non salta, anche se accudito dalla segretaria dal nome di grillo.
    Alla Paulaner di Xintiandi abbiamo mangiato hamburger e patate fritte e panini al salmone e bevuto birra.

    Due ore non bastano per raccontarsi dopo tanto tempo. Due ore sono troppo poche per mostrare quello che vorrei della mia Shanghai, i posti che mi piacciono, le stranezze della gente, le contraddizioni. Due ore non bastano perché con gli amici le ore sono minuti, e gli anni sono giorni, e anche se ci vuole un secondo per andare indietro nel tempo, poi ce ne vuole un sacco, di tempo, per ritornare al presente.

    Due ore bastano invece per farmi provare una lieve gelosia, per loro ancora insieme mentre io ho cambiato strada, per riempirmi la testa di ricordi, per far nascere un po' di malinconia. Bastano, due ore, per sentirmi bella, perché gli amici fanno così, ti corteggiano per farti divertire. Bastano per accendere la nostalgia, per capire che gli amici a volte sono più vicini quando sono lontani, per scoprire che ci si riconosce, uguali, anche dopo anni, con la stessa immutata confidenza, la stessa voglia di ridere.

    Quando torno, ragazzi, ci prendiamo altre due ore?

martedì 25 ottobre 2011

Lesson number one: my name is Wonder

Fa freddo, oggi. La temperatura è calata improvvisamente, e mi ritrovo a rabbrividire con addosso solo un maglioncino di cotone. Credo che mi prenderò una bella tazza di caffè caldo, così magari mi sveglio anche un po'.

Davanti alla zona relax del Community Center, dove trovi thermos giganti pieni di caffè lungo, vasi di tisane, boccette di miele, zucchero pietrificato nonché il solito boccione di acqua purificata, può capitare di incontrare ragazze indiane, americane, taiwanesi, inglesi, rumene, italiane.
Parlano di figli, di corsi di pittura, di gite al museo di arte contemporanea, di vita quotidiana.
Ci sono quelle appena arrivate che succhiano consigli da quelle con più anzianità di servizio, quelle che ormai han fatto tutti i corsi che il centro offre e non san più cosa inventarsi ma restano lì, ché ormai si sono affezionate all'ambiente, quelle che passano, bevono una tazza di tè e spariscono dietro porte chiuse, quelle che portano cuscini e presine e grembiuli fatti a mano da vendere alle sprovvedute ricche che vogliono lo strofinaccio con il carattere cinese ricamato sopra.

    Nell'aula la finestra è aperta, l'aria pizzica il collo e sono certa che il caffè non sarà sufficiente per scaldarmi le mani.
    La prima lezione insegna cose che mi sono familiari, ma ho deciso che voglio prendermela con calma, easy insomma, altrimenti mi stresso e divento nervosa.
    E poi adesso ho il mio nuovo nome cinese.
    Mi chiamo Ma Lin Mei.
    Trattasi di parziale trascrizione fonetica del cognome (intoccabile) e di libera traduzione semantica del nome, per le quali si danno alcuni diversi significati a seconda di come vengono scritte, e varie possibili combinazioni, a scelta tra le seguenti:

    1. bella nella foresta a cavallo
    2. sorella della mamma nella foresta
    3. cavallo nella bella foresta
    4. sorella della foresta a cavallo
    5. bella mamma nella foresta
    6. bel cavallo nella foresta
    7. mamma nella bella foresta
    8. mamma della sorella nella foresta

    E io l'ho sempre detto che il cinese è una lingua difficile.
    Comunque, sono aperte le votazioni.
    Sappiate che io, che sono vanitosa e immaginifica, propendo per la prima versione.

lunedì 24 ottobre 2011

Tredici

Era una bella giornata di sole, e anche se c'era freddo ero in maniche corte, e il freddo non lo sentivo. Ero in un'altra dimensione.
    Abbiamo ballato, e io ero un po' ubriaca, perché il vino era buono e c'erano gli amici e tutti quelli a cui volevamo bene, e anche qualcuno in più.

    E poi il Messico, e anche le nuvole
    un lavoro, due, tre,
    la quotidianità
    la stanchezza.
    Noi due, sempre.
    La moto, i viaggi, la casa nuova, le vacanze.
    L'università, qualche amico in meno, qualcuno in più.
    Noi due, ancora.

    La BB, all'improvviso, e Gatto Selvaggio, e le notti insonni, e la Gabbianella
    (una zingara me l'aveva predetto, che avrei avuto tre figlie, ma ancora non sapevo che fosse la verità).
    La Cina, un'altra casa, un'altra vita.
    Ogni giorno, ogni notte rifarei
    quattromilasettecentoquarantacinque volte, più o meno.

    L'ultima cambierei, e saremmo più vicini.

domenica 23 ottobre 2011

La Gabbianella e i gatti

La Gabbianella ha un carattere socievole. Quando vede una bambina alta come lei gli dà la manina, stacca dei pezzetti del suo pane all'uva, l'accarezza sulla testa con fare materno, poi se ne va ma prima la saluta, dice Babai e fa ciao con la manina. Coi maschi è uguale, specie se hanno una macchinina o una palla.

    La Gabbianella ama anche gli animali. Nel pelo della Circe, schnauzer paziente e coccolona, affondava la faccia dicendo Oooooh, sulla testa di Fulmine, soriano solitario dagli occhi gialli, appoggiava la manina tutta contenta, e Romeo, coniglio dalle lunghe orecchie della BB, le fa da cuscino. È di peluches, ma per una bambina di venti mesi non fa molta differenza.

    Qui a Shanghai, o almeno in questo quartiere, nonostante le varie credenze gli animali da compagnia abbondano. Si tratta per lo più di cani, di svariate taglie, dal labrador al collie, dal formato-topo al barboncino, e di uccelli, all'apparenza cornacchie ma probabilmente di nobili origini viste le gabbie in cui li tengono, e pappagalli. Piacciono i coniglietti nani, dentro gabbiette nane. Il vicino in fondo alla strada ha una gallina. Oddio, l'aveva, adesso è un paio di giorni che non la vedo. Anche i pesci rossi e bianchi, acquistabili allo zoo e all'acquario, godono di una notevole considerazione, e si trovano in quasi tutti i giardini e anche nei negozi, in grandi vasche di ceramica, insieme a qualche fiore di ninfea.
    Poi vanno molto i grilli, occupano poco spazio e non impegnano, e in genere mangiano poco, anche se hanno a disposizione minuscoli piatti decorati più belli dei miei dell'ikea. Ce ne sono di varie taglie, a partire da circa cinque millimetri fino a esemplari considerevoli di sette-otto centimetri, con la testa azzurra o verde, che si tengono in apposite gabbiette analoghe a quelle degli uccelli solo mooolto più piccole. Avere un grillo in giardino può essere piacevole, nelle sere di mezzo autunno. Però in sala, ecco, anche no.
    Mentre è abbastanza comune che scoiattoli (quelli veri, non quelli a coda lunga del Porto), cicale, zanzare e formiche non vengano annoverati tra gli animali da compagnia, trovo curioso che la stessa discriminazione colpisca anche i gatti, che circolano liberi nel compound e hanno perfezionato un sistema infallibile per scoperchiare i secchi della spazzatura (tale discriminazione, devo dire, è alquanto bislacca se si considera la zona Pet World del vicino zoo).
    Forse è per questo che la nostra terrazza è diventata un luogo di ritrovo per i gatti randagi del quartiere. Ce ne sono due completamente bianchi che giocano e dormono nell'angolo di destra, uno rosso ha deciso che il nostro minigiardino è una splendida scorciatoia per andare dove deve andare, uno in tutto simile al famoso Felix bianco e nero della pubblicità sonnecchia appallottolato sulla sedia al sole, uno nero sbuca dal giardino e attraversa la strada quando passo in bici senza ulteriori conseguenze né per me né per lui.

    È evidente che la nostra erba gatta è più verde di quella del vicino.
    La Gabbianella è particolarmente felice della presenza di animali a pelo lungo, e socializza con i felini con estrema facilità. Ignorando deliberatamente le mie raccomandazioni, quando vede un gatto lancia il suo grido di gabbiano, batte le manine sul vetro per uscire, divide fraternamente la merenda col micio e gli dà un pezzetto del suo prosciutto, butta briciole di pane e pezzetti di banana e si arrampica sulla staccionata per guardare sotto la terrazza, dove il gatto si nasconde in attesa del rancio.
    I gatti ringraziano.
    Catturano uccelli e li portano, cadaveri spelacchiati, sulla terrazza. Li trovi alla mattina, prima di colazione, davanti alla porta a vetri.

    Gabbianella, tesoro, potresti per favore dire ai tuoi amici, come solo tu sai fare, che tanta riconoscenza è del tutto sproporzionata?

venerdì 21 ottobre 2011

Dichiarazioni shock

- Guarda Gatto, è arrivata la Friday Letter della tua maestra, vuoi vedere cosa dice?
- Vediamo...?
- dunque, siete stati allo zoo a dare da mangiare alle capre, wow, avete studiato la lettera G di Goat, certo, bello, poi la settimana prossima.. vediamo cosa fate... ah, guarda, ci sono anche delle foto... no, tu non ci sei
- Ma c'è Kai!
- Kai? Chi è Kai?
- Eh, è un mio amico di spuola.
- Qual è di questi?
- Quello lì, guarrda. BB! Guarrda c'è Kai!
- Vediamo, fammi vedere...
- Ecco guarrda... (indica un bambino asiatico di cui si vede poco dato che sta disegnando chino sul foglio)
- ...
- Ma Gatto, ti piace questo bambino?
- Eh, sì, vorrrei baciallo.

Alcune dichiarazioni, così a caldo, sono decisamente destabilizzanti.

mercoledì 19 ottobre 2011

Fatica sprecata (di varie inutilità parte II)

Prima di partire per Shanghai, giusto per entrare nel clima asiatico, ho frequentato con discreto profitto un corso di cinese all'università. Quaranta ore strappate al lavoro per le lezioni e altrettante al sonno per lo studio alla sera, quando finalmente le bambine dormivano e io potevo ripassare come si scrive TuShuGuan e come si dice Mi chiamo Wonder, Vorrei una tazza di tè, Ha un vocabolario di Italiano-Cinese? o Al sabato sera vado a ballare, il che com'è naturale è palesemente falso ma tanto non si studia per dire la verità.

    Arrivata qui ci ho messo un po' prima di ambientarmi, assicurarmi che le bambine fossero tranquille e decidere di cercare una scuola per seguire un altro corso di cinese.
    Il momento è arrivato. Luogo di aggregazione pressoché femminile dove passano gran parte delle mogli degli espatriati, il Community Center offre corsi di lingua cinese, conversazione inglese, conversazione francese, lettura e scrittura, gite turistiche, gite di ambientamento, corsi di cucina, lezioni di zumba, coffee connection, medicina tradizionale, agopuntura e moxibustione, corsi di primo soccorso per aji e autisti, di creatività varia (dalle perle alla fotografia, dalla pittura a come essere perfette genitrici).
    Wow, penso, va' che fortuna, al Community Center fanno un corso di cinese per chi ha già fatto trenta ore di lezione, fa proprio per me.
    Assessment giusto per capire se vado bene.
    D'accordo, gli esami non finiscono mai. Vediamo, sì, questa domanda la capisco, so anche rispondere, ok, anche questa è facile. Come dice, scusi? Ah, un chilo di farina? No, non so quanto costa un chilo di farina e non so neanche chiederlo. Cosa mi piace fare la domenica? Oddio questa la sapevo ma veramente non mi ricordo più come si dice (chi non ricorda non sa, mi diceva il Pianista Preferito dalla memoria indelebile come il pennarello sui miei jeans bianchi). Può aspettare qui un attimo? Ma ti pare che all'università come prima cosa ti insegnano cosa devi dire al tassista? A che ora vieni la settimana prossima? No, non lo so dire, quella lezione lì ancora non l'avevamo fatta. Ma come mi vengono tutte 'ste scuse da terza media? I classificatori, sì, ecco, tipo i ben cha. Ah no? Sbagliato? Mi sembrava... ah, era i bei cha, certo, è vero. Ma che caxxx ho imparato in 'sto corso all'università? Non mi ricordo proprio niente. Cioè, veramente so scrivere quello che so dire, quindi piuttosto poco, per vero. So anche leggerlo, mi sembra importante... Non è così importante, dice? Beh, magari se devo capire cos'è quello che compro... Lo chiedo? Beh, giusto, lo chiedo. Quindi qui niente lettura e scrittura, solo a parlare ti insegnano? Certo, parlare è fondamentale. Quindi io non so parlare, che fregatura.
    E il mio libro serve, posso usarlo? Per riuscire a fare il corso di secondo livello allora dovrei studiare ancora questa lezione qui, la dodici, la tredici, la quindici e la sedici. La quattordici non serve, no? questa e questa, ripassare tutte le altre, ok, senza guardare i caratteri, quelli non importano, va bene. A me piacevano proprio quelli, la filosofia sottesa all'ideogramma, quelle menate lì, però...

    Ricapitolando: arrivata qui ci ho messo un po' prima di ambientarmi, assicurarmi che le bambine fossero tranquille e decidere di cercare una scuola per seguire un altro corso di cinese dato che ho dimenticato tutto.
    Magari è meglio se ricomincio da capo, no? Cioè dal primo livello, beginner 1. Vabbè. Ci penso.

    Ore 19,30.
    A tavola, mangiando con le bacchette le penne al tonno e capperi.

    - Tu mamma vorresti tornare bambina?
    (Va' sta cucciola che mi legge nel pensiero) - Sì tesoro, ogni tanto mi piacerebbe.
    - Vorresti tornare a scuola?
   - Beh, sì, qualche volta mi piacerebbe anche tornare a scuola.
    - Allora vai anche tu a scuola di cinese?
    - Eh, ci sto pensando, stavo appunto dicendo al papà...
    - Io faccio lezione di cinese, sai, a scuola...
    (eh, lo so)
    - ...mela si dice ping guo, pera si dice li, banana non mi ricordo, sai come si dice naso? Io lo so, biz, piedi? Shou. Orecchie? Ar duo.
    - Ok, ci credo, sei brava, magari mi insegni.
    - Ma tu resti la mamma, anche se ti insegno io. Gatto, la mamma resta sempre la mamma, sempre sempre, anche quando è morta, sai.

    Eh. Son consolazioni.

martedì 18 ottobre 2011

Di varie inutilità

Quando mi suona il campanello, alle quattro del pomeriggio, cioè in piena euforia casinara da merenda pomeridiana, l'uomo con la valigetta ha tutta l'aria di un venditore porta a porta. Mi saluta gentilmente e comincia a sbrodolare parole senza interruzione, e mentre lo guardo con aria molto stupita e probabilmente anche stupida non smette di parlare. Visualizzo la bocca che sputa caratteri puntuti che mi rimbalzano ai piedi e si accumulano sul pavimento, e cerco invano di bloccare la furia che mi travolge con parole e sorrisi. Siccome non capisce quello che dico, No grazie non compro niente, grazie grazie, l'uomo non se ne va dalla soglia e comincia a indicare il cielo (sarà mica un testimone di Geova? Quelli son dappertutto, però fin qui...) e poi una grande sfera (a che religione vorrà convertirmi questo qui?) finché da uno spiraglio della porta non adocchia il televisore e mi fa segno di voler entrare.

    L'addetto alla tv satellitare mi mostra una lista di canali tra cui riconosco CNN, BBC, Discovery Channel, Biography Channel, History Channel, Star Movie, Star Sport, Cartoon Network e Tv Maria. Vada per questi, dico, anche se sono veramente ma veramente colpita dalla presenza di Tv Maria. Sapevo della possibilità di sentire la più diffusa emittente radiofonica cattolica anche dai termosifoni, in Italia, ma che la versione televisiva arrivasse fino in Cina non l'avrei mai pensato. Decisamente hanno dei ripetitori molto in alto.
    Dopo un'ora di operazioni intra- e extra-moenia, la tv sembra funzionare.

    Adesso, oltre alle notizie dal mondo parzialmente censurate, abbiamo una vasta scelta di telenovele in cinese sottotitolate in cinese, un canale di Living Asia dove dei cuochi americani mostrano come cucinare un piatto veramente tailandese, un canale che mostra solo baseball, uno di Taiwan che non si visualizza, due canali di cartoni animati che trasmettono pubblicità per la maggior parte del tempo e per il resto manga inguardabili, un canale solo di eventi criminali, uno solo di sport, uno di film vetusti sottotitolati, uno di karaoke con sottotitoli ritmati, uno di telefilm tra cui il dr House (il mio preferito!) e Desperate housewifes, entrambi assolutamente incomprensibili, il Pilipinas Got Talent, un programma dove un pazzo americano si fa mettere apposta nelle paludi per farti vedere come si sopravvive mangiando larve e pescando con la maglietta, le gare di motoscafi e i rally con le twingo, un altro programma cinese che scopre talenti canori, Diva tv con Oprah Winfrey, Deutsche Welle dove si parla solo in inglese, Australia Network e tre canali religiosi (oltre a Tv Maria, anche Church Channel e Christianity).

    A ben vedere, avremmo potuto anche fare senza.

lunedì 17 ottobre 2011

Nostalgia

Però è bello avere dei cugini vicino, che non devi prendere la macchina per andare, e fare tanta strada... o con la metropolitana, basta aprire la porta. Vero mamma?

venerdì 14 ottobre 2011

Susie

Susie è una ragazza piccola, sorridente e dinamica, con denti da coniglio, occhi sottili e la pelle scura. Parla l'inglese senza erre dei cinesi e si muove con destrezza tra il divano e la tavola da pranzo. Mette la cipolla nel sugo pronto della pasta, inventa ricette con le verdure e si chiude in cucina per non disturbare. Tiene le calze ai piedi, parla solo se necessario, raccoglie i capelli in una lunga coda e trattiene un ciuffetto ribelle con una forcina colorata.   
    Fa puzzle a ripetizione sul pavimento, finge di leggere i libri in italiano, gioca a rincorrersi con la Gabbianella, trova con Gatto Selvaggio il posto giusto per le tessere della tombola in inglese e aiuta la BB a fare i compiti di cinese.

    Susie è la nostra nuova ayi. È originaria di Yangzhou, città a quattro ore di pullman da qui dove nel Trecento Odorico da Pordenone, francescano vagabondo pieno di zelo, trovò contadini cinesi da convertire e mercanti italiani da redimere, nonché la via per diventare santo.

    Diciamo che le premesse fanno ben sperare.

giovedì 13 ottobre 2011

Terrific

La BB ha iniziato la scuola da meno di due mesi, e già sta collezionando brutti voti sui compiti in classe. Quelli a casa li controllo, ma ogni tanto anche lì qualcosa va storto, e non capisco perché. Ammazza, penso io, son piuttosto severi, qui. Già in prima elementare non si fanno scrupoli a far sapere ai cuccioli che sono delle zappe.

    Questa mattina ci sono i colloqui con gli insegnanti. Fantastico, così posso domandare cos'è che non va. Procedura di iscrizione: si entra nella pagina web della scuola, si comunicano nome utente e password, si seleziona l'insegnante con cui si vuole parlare (15 minuti) e l'orario disponibile, si stampa, si esce.
    Il giorno stesso dell'apertura delle iscrizioni (due settimane fa) gran parte degli insegnanti non ha più uno spazio libero. Non posso prenotare l'insegnante di computer, quella di violino, quello di arte, nemmeno quello di ginnastica, che in Italia non ci vuole parlare nessuno. Vabbè, restano libere quelle più importanti, la maestra principale Mrs R, la maestra di cinese Zhang Laoshi, la maestra di inglese Mrs O.

    La maestra di cinese, Mrs Zhang, è stupita dei progressi della BB, che oltre a ricordare i termini cinesi sa pure riconoscere i caratteri. In effetti stupisce anche me.
    Mrs O, australiana vagamente somigliante a un enorme criceto e il cui il nome è singolarmente evocativo della sua persona, mi suggerisce di continuare a farle scrivere in italiano ma di parlarle anche in inglese. Sicura? Con il mio inglese? Non è che mi fidi molto, non vorrei insegnarle sbagliato, sa. Il suo inglese va benissimo, dice. Come? Sì, il suo inglese va benissimo (cioè, intende proprio il mio inglese. Wow. Che notizia. Devo metterla sul blog).
    Mrs Ar, alias Luhan R. (va' che nome esotico), è una biondina un po' slavata e gentile, con vestiti a fiorellini e cerchietto (anche se con un nome così ti aspetteresti una moracciona in tuta di lattice con stivali bondage e frustino). Mi racconta cosa fa la BB in classe, dice che partecipa, capisce e fa bene i conti (il Bighi sarà contento, almeno una in famiglia che sappia fare cinque più due), e che però è un po' irrequieta, non sta seduta come gli altri a gambe incrociate, continua a muoversi e insomma magari dovrebbe imparare a stare più composta. Concordo.

    Domande? Veramente sì, una ce l'avrei, perché sa, mi preoccupa un po' questa serie di voti negativi, poi la BB ci resta male e qualche volta davvero non capisco nemmeno io perché le mette questo orsetto marrone con sotto scritto terrific... Non è per dire, ma spaventerebbe anche me, un terrific sul mio disegno.
    La biondina slavata mi guarda interrogativa, le mostro i fogli incriminati e lei sorride: guardi che questo è un bel voto, significa wonderful, magnifico, stupendo. Ah, sì? Davvero? Meraviglioso? Ops. Allora tutto bene, sì? Perché sa, pensavo... in italiano... e allora, santa pace, ho fatto credere alla BB... cioè, insomma...
    Magari torno a parlare con Mrs O, eh? Probabile che cambi opinione, sul mio inglese.

mercoledì 12 ottobre 2011

Le ragazze di Shanghai

Le ragazze di Shanghai hanno il viso rotondo, capelli neri lunghi e un sorriso dolce che nascondono con la mano. Portano grandi cappelli, vestiti di seta a pois e ballerine in tinta. Quando camminano non guardano mai indietro, hanno gambe bianchissime e unghie dipinte.
    Le ragazze di Shanghai sono ostinate e tenaci, energiche e dolci, non accavallano mai le gambe perché ferma la circolazione e mangiano radice di zenzero perché fa bene alla salute. Mettono i collant sotto la minigonna anche d'estate, coprono le mani con i guanti di pizzo e le braccia con maglie velate, hanno due cellulari e la borsetta piccola, scarpe di due misure più grandi perché volevano proprio quelle ma non c'era la misura e occhiali colorati e vistosi senza lenti perché danno un'aria eccentrica.

    Le ragazze di Shanghai si specchiano nei vetri scuri della metropolitana e si sistemano la gonna come se fossero in un camerino. Si mettono il rossetto ma non si truccano, e qualche volta usano le ciglia finte. Parlano a bassa voce con tono gentile, sorridono con gli occhi, ma quando si arrabbiano gridano e si agitano senza preoccuparsi di chi sta intorno, il viso trasfigurato in una smorfia cattiva.
    Si curano con la medicina tradizionale, mangiano con le bacchette ma sanno usare le posate, si fidanzano con gli occidentali perché da sempre gli stranieri hanno un fascino speciale, e gli uomini occidentali se ne innamorano perché sono belle e riservate, delicate e volitive.

    Le ragazze di Shanghai sono orgogliose e altere, si fanno corteggiare, non accettano mai di uscire la prima volta che un ragazzo glielo chiede e al primo appuntamento si fanno aspettare. Portano calzoncini cortissimi e magliette accollate, e indossano con la stessa imperturbabile indifferenza le ciabattine di plastica, le scarpe col tacco di brillanti o le ballerine con i coniglietti di peluches sulla punta, gli stivali da pioggia, gli zatteroni, le sneakers fluorescenti o gli stivaletti animalier con il tacco a stiletto.
    Raccolgono i capelli con fermagli vistosi, mettono piccoli orecchini, collane a girocollo e bracciali di giada perché la giada è simbolo di purezza e calma i cuori agitati. Hanno cinture con le frange sui fianchi stretti e lunghe magliette con i brillantini, cerchietti rosa e pendagli di hello kitty, e amano gli accessori infantili perché in fondo restano sempre un po' bambine. Come noi, del resto.

martedì 11 ottobre 2011

Dieci cose che mi mancano dell'Italia, in ordine sparso

    il prosciutto crudo e la mozzarella
    il bidet
    le braciolate a Sant'Ambros
    le ragazze del platano
    le altre amiche amiche, e qualche amico
    la passeggiata in centro
    l'aperitivo della domenica
    le sorelle
    le soste in libreria
    la ceretta dall'estetista
    bere l'acqua del rubinetto
    le brioches di Dal Fior
    le scarpe

ops, ho sforato.

lunedì 10 ottobre 2011

Allo zoo con Quan Quan

Quan Quan, giusto per allontanare ogni dubbio, è la figlia quattrenne dell'amica Doris, che suona il campanello alle undici e mi trova ancora in sottoveste che sto finendo di lavare i piatti (operazione che ultimamente svolgo con una frequenza allarmante) mentre le bambine in pigiama colorano e fanno castelli sul pavimento.

    In realtà il programma prevede una gita con picnic allo zoo, quindi l'idea è di vestirci, preparare i panini e andare. Doris si aggrega volentieri, siamo pronte tra una mezz'ora, le dico, ma siccome siamo quattro femmine che devono vestirsi vi lascio immaginare quanto impieghiamo.
    Comunque, dato che lo zoo dista una ventina di minuti a piedi, riusciamo a sfamare le cavallette prima dell'una, il che è un gran traguardo, se ci pensate.

    Lo zoo è veramente grande, oggi c'è poca gente e sarà la presenza della Doris ma i cinesi ci lasciano pure camminare senza tormentarci di foto. Il prato verdissimo su cui stendiamo l'asciugamano è grande e morbido come un tappeto, le bambine sfamate e scalze corrono e saltano, spaventano gli uccellini, rincorrono gli scoiattoli, fanno capriole, ogni tanto tornano a spiluccare una fetta di torta, una manciata di uva passa (“mamma, posso ancora uva passera?”), un sorso di aranciata. Niente zanzare, niente rumori, niente cinesi che sputazzano, querce ombrose e sprazzi di sole. Bellissima giornata limpida e senza nuvole.

    Lo zoo riserva ancora sorprese. In una zona inesplorata vediamo due tigri bianche, due pantere nere, volpi e orsetti lavatori, cavalli selvaggi, asini della Mongolia, avvoltoi, aironi, pellicani e cigni neri, pinguini, aquile strette in voliere piccolissime, un gufo reale, pappagalli, scimpanzé e gorilla e scimmie di ogni specie, fontana con giochi d'acqua, siepi a forma di elefanti e una zona Pet World dove si trova un canile, una gabbia con volpi artiche un po' sofferenti, un fossato con l'istrice, uno stagno con le lontre e una colonia di enormi pantegane. Le bambine instancabili corrono e saltano ancora avanti e indietro. Il pane con la Nutella dà un sacco di energie, non c'è dubbio. Si sta talmente bene che potremmo restare qui anche per cena, ma alle cinque e mezza lo zoo chiude.

    Torniamo a casa stanchissime, con la promessa di tornare domani. Non c'è problema, penso, anche perché l'amica Doris, cinese mica per niente, mi ha insegnato che si può entrare gratis anche durante il fine settimana dall'ingresso speciale dell'asilo del Gatto Selvaggio, esibendo, oltre a una gran faccia tosta, la tessera della scuola.
    L'esperimento funziona. Il nonno GP sarebbe fiero di me.

sabato 8 ottobre 2011

HuangPu River Boat Tour

Lungo il fiume HuangPu i traghetti sono ormeggiati in attesa dei turisti per le gite giornaliere e serali. Il tour può durare da una a tre ore, e consente di vedere un lungo tratto delle due rive opposte della città, ma a parte la suggestione della gita in barca in effetti la prospettiva da dentro il fiume non cambia molto rispetto a quella fuori, cioè sulla riva, se si esclude il fatto che puoi ammirare contemporaneamente la riva occidentale, dove i grattacieli si alternano a palazzi in stile europeo, e quella orientale. Ma dal Bund, lunga passeggiata da cui si ammira la classica immagine della torre della tv, della Financial Tower, della JinMao e di altri anonimi grattacieli della zona finanziaria di Pudong, la vista è quasi migliore che dal traghetto, che ogni tanto s'imbatte in qualche chiatta o in navi mercantili ormeggiate in mezzo al fiume.

    La comunanza di interessi, vale a dire i figli piccoli, produce approcci altrimenti improbabili, e durante la gita in barca può succedere di fare amicizia con un cinese del nord, che ha studiato in Australia ed è arrivato a Shanghai per turismo accompagnato da una donna e due bambine di quattro e cinque anni, che non sono sua moglie e le figlie come potrebbe sembrare ma un'amica con la figlia e una bambina al seguito, perché le famiglie cinesi si allargano come possono, e se possono si aiutano anche se non sono parenti.

    C'è da dire che la passeggiata ha dei vantaggi, per esempio puoi fermarti quanto vuoi davanti al panorama più famoso di Shanghai, dove fino a pochi mesi fa non avresti mai immaginato di trovarti nemmeno per un viaggio, figuriamoci ad abitarci, e aspettare che la luce rosa della sera si faccia scura per vedere lentamente accendersi lo spettacolo delle luci multicolori dei lampioni, dei grattacieli e delle barche. Lo svantaggio consiste nel consueto assalto di cinesi, per cui anche se avresti voglia di andare un po' più in là, a vedere un altro pezzo di panorama, di fatto resti bloccato e alla fine, stanco di fare sorrisi ma non volendo sembrare scortese (non si sa mai quel che può succedere), preferisci lasciar perdere, motivo per cui ancora non sono riuscita a percorrere il Bund fino in fondo. Vabbè, ho tempo, però...

    La Gabbianella fa la modella, corre e ride e ogni tanto fa la ritrosa e scappa via quando i cinesi si avvicinano. La BB e Gatto Selvaggio stanno immobili e impassibili, non fanno un sorriso neanche finto e anzi si mostrano un po' scocciate. Due ragazze vogliono farsi fotografare con me, a turno, non so perché, e la cosa mi turba un po'. Non sono neanche stata dal parrucchiere.

    La telefonata di Enzo e dell'Amica Francese ci salva dalla folla e ci risolve la cena. Coscette di pollo in umido, melanzane, riso, gamberetti al mango, insalata, vino Emilio rosso corposo. Torta gelato ai lamponi, amaro, tisana. Se abitassimo un po' più vicini l'Amica Francese correrebbe il rischio che la BighiFamiglia cenasse chez Laurence tutte le sere.

venerdì 7 ottobre 2011

Shanghai ChangFeng Oceanworld

All'ingresso principale del ChangFeng Park, sulla ZaoYang Lu, gli ambulanti vendono ogni genere di cosa: castagne caramellate, patate dolci e pannocchie, girandole colorate, braccialetti, spiedini di carne alla piastra, hot dog, palloncini, conigli nani, pulcini e pappagallini in gabbia, bolle di sapone, bibite, cappellini. Dentro, il fiume di gente chiassosa non disturba i soliti vecchietti che sonnecchiano sulle panchine o dentro i risciò (motorizzati), un gruppo di persone danza una coreografia tai chi, i pedalò si addensano sul canale, e oltre il ponticello gruppi di giovani sono accampati con le tende sui prati, altri fanno volare coloratissimi aquiloni. Le spose vestite di bianco si fanno fotografare sotto i salici, i bambini soffiano bolle di sapone, i grattacieli si specchiano sul lago, la luce filtra dai rami e disegna figure sulle strade lastricate. Un uomo fa acrobazie con una frusta, una donna canta al suono dell'erhu, violino a due corde molto diffuso. Nelle verande con il tetto a pagoda coppie di anziani ballano, si siedono intorno a chiacchierare o suonano il sax, la fisarmonica, la tastiera. Altri vecchi preparano il tè sui tavolini di pietra, o pescano con i nipotini i pesci rossi delle vasche.

    Lungo il viale che porta all'acquario, meno famoso della ricca struttura di Pudong ma più simpatico, le bancarelle vendono zucchero filato, puzzle in tre dimensioni, pulcini di plastica, lecca-lecca di caramello a forma di gallo, coniglio e dragone, bacchette magiche, anelli magici, piatti con decori scolpiti a mano, cubi di rubik, ombrellini di filo intrecciato, animali di plastica gonfiabile. Con tre bambine al seguito non possiamo resistere per molto.

    Nel teatro strapieno c'è lo spettacolo dei beluga, fanno salti e salutano con le pinne, trasportano l'addestratore sul muso, spruzzano gli spettatori, ballano a ritmo di musica; la foca invece bacia una ragazza, entra ed esce dall'acqua, gioca con la palla, scivola sulla pancia e saluta prima di uscire.

    La giornata è bellissima, i panini morbidi, le bambine allegre, la Gabbianella fa amicizia con una cinesina e le dà pezzetti del suo pane all'uva che la cinesina sembra gradire, i cinesi le fotografano, io pure.

    Nell'acquario non c'è quasi nessuno. Meno male, penso, perché se c'è un museo che va visto in assoluto silenzio è quello dei pesci. Ci sono vasche piccole con pesci minuscoli, vasche medie con pesci giganti, vasche giganti con i pescecani, un tunnel dove i pesci e le tartarughe e le razze passano sopra la testa e su cui tre piccoli squali e una manta si sono addormentati, i pinguini, i rospi, un passaggio segreto su un ponte dondolante con dei coccodrilli finti e un vero temporale tropicale che ti bagna dalla testa ai piedi, finti pipistrelli alle pareti, cavallucci marini, pesci pagliaccio, idoli moreschi, pesci chirurgo e tutta la serie degli amici di Nemo, l'angolo sirenetta disneyana con funghetti-sgabello di fronte alla vasca tropicale alta cinque metri, pesci rossi acquistabili, peluches e gommosi che riproducono gli esemplari dell'acquario in ogni dimensione.

    In tutto questo bailamme di gadget e souvenir ce la caviamo con un puzzle 3D, un gioco di abilità in legno che ha impegnato me e il Bighi per tutta la sera e un paio di penne magiche. Il tassista ci guarda male quando stipiamo il bagagliaio con pallone, racchette da badminton, telo da spiaggia, avanzi di cibo, passeggino e ci infiliamo in macchina con tre palloncini alle cui estremità sono attaccate tre bambine spettinate, stanche e con i baffi di cioccolata. Ma quando vede quanto siamo incasinati e felici non può fare a meno di sorridere.